mercoledì 24 ottobre 2018

Diario canadese: Wapta Icefield (il Duca)




Perché il Wapta Icefield? Perchè questo enorme mondo di ghiacciai orizzontali e aguzze punte di rocce gialle e nere?
La scelta è arrivata per far di necessità virtù: avevamo bisogno di un alloggio disponibile e il Bow hut è grande e le cime attorno numerose.
Partiamo in una delle giornate più dense di fumo, lasciando la macchina vicino al grande lago. Il sentiero è bello e comodo, accompagnato da un torrente burrascoso, gonfio di rapidi, stretto nelle alte gole rocciose. Superiamo il fiume passando su di un grosso masso incastrato nella parte alta di un kanyon e poi proseguiamo verso i ghiacciai. Il guado dei torrenti successivi crea qualche problema in più, in qualche caso bisogna togliersi gli scarponi e camminare nell'acqua fino a mezza coscia, un'acqua potente e gelida.
Ci sistemiamo nel bivacco, passiamo qui la notte, poi saliamo verso la coda del ghiacciaio puntando alla bella cuspide rocciosa del St. Nicholas peak. E' questo il nostro primo obbiettivo della giornata.
Legatici in due cordate (io con Greg, Ale con Andrea) saliamo facendo lo slalom tra i numerosi crepacci che segnano la tavolata di ghiaccio nero. Aggiriamo la strapiombante parete nord e ci troviamo su di un ghiacciaio ancora più pericoloso, dove i crepacci sono nascosti da precari ponti di neve sottile.
Giunti ai piedi della sella che separa il St. Nicholas peak dall'Olive peak, risaliamo i ripidi sfasciumi guadagnando la cresta. Qui dobbiamo far fronte alla testardaggine di Greg, che ci costringe ad un recupero in parete: è questa l’empirica lezione sul significato della parola “cazzata”, imparata con successo dal nostro amico polacco.
Fatta una corale risata, affrontiamo la sottile cresta, che in facile arrampicata ci porta sull'aguzza cima del St. Nicholas.
Spuntino col Jerk, le solite due chiacchiere e si riparte per la lunga cavalcata in cresta, con cui prima tocchiamo la cima dell’Olive Nord e poi la cima dell’Olive Sud.
Sotto di noi si stende l’enorme ghiacciaio piatto di Wapta, che come un’immensa pianura grigio-bianca brilla sotto al sole.
Tornati al bivacco passando per le colate di ghiaccio che precipitano ad est, ci concediamo una piacevole pausa. Ci si riposa e si spacca la legna; è l’ultimo atto alpinistico di questo viaggio che continuerà verso nord, nelle terre di Jasper. Mi guardo attorno: le cime, i ghiacciai, le morene. Il bosco più in basso e il torrente che scroscia; i volti dei miei amici. Perdo un attimo per osservarmi al centro di tutto questo: sono finalmente felice e sereno.

martedì 23 ottobre 2018

Diario canadese: gli alloggi (il Duca)



I punti focali della spedizione canadese sono stati gli alloggi, ognuno di loro ha segnato una storia e ha avuto la sua importanza. Dagli hotel di Calgary, al bivacco di Bow; dagli ostelli principali, ai wild hostels, fino ad arrivare al lodge di Radium, presto rinominato “la nostra casa”.
Ci sono ricordi mitici legati a queste sistemazioni. Come le notti festose a Banff, dove abbiamo rimpianto di non avere 20 anni. Oppure le serate al Mosquito, suonando la chitarra e bevendo vodka, mentre Greg correva nudo dalla sauna di pietra al torrente ghiacciato: freddo fuori, atmosfera da campo hippy dentro.
Ovviamente “la nostra casa” ha avuto un ruolo particolare. Qui abbiamo constatato che l'Assiniboine sarebbe stato irraggiungibile, qui abbiamo dovuto ridisegnare i nostri piani.
Così questo pezzettino di America, da semplice luogo di passaggio, è diventata la nostra base per le grandi decisioni. E la proprietaria, una grossa signora in stile redneck, ci ha lasciato libertà totale di movimento, affidandoci di fatto l'intero lodge di cui eravamo gli unici ospiti.
Quelle serate sono vicine alla leggenda, con le grandi grigliate di Prina sulla veranda, condite con litri di birra. La musica, il relax alla luce del tramonto, i mufloni che tiravano potenti cornate agli alberi da frutta. E poi le chiacchierate con il nostro Clint Eastwood, il marito della proprietaria, che col suo aspetto da film western passava a raccontarci le sue storie.
Anche il Bow hut ci ha regalato bei momenti, con il compleanno di Greg festeggiato con dei dolcetti pesanti come macigni e la pasta cucinata sul grande fornello. Il nostro basso profilo da clandestini, la legna tagliata al ritorno dalla cima, il silenzio riempito dallo scrosciare del torrente.
Ogni notte un letto diverso, ogni sera un posto nuovo, arrivando e ripartendo come cavalieri vagabondi, sempre da qualche parte a scrivere la nostra storia.

mercoledì 17 ottobre 2018

Diario canadese: Stanley peak (il Duca)



Il sogno si è infranto, la rabbia si mischia alla necessità di tessere nuovi piani. 
La zona dell’Assiniboine, la montagna che siamo venuti a scalare, è stata chiusa per gli incendi. Sembra che la coltre enorme di fuochi abbia come proprio centro proprio lei, la piramide bellissima dell’Assiniboine, che da sfida accattivante è diventato un sogno impossibile.
L’unica valle libera dagli incendi, nella regione dove ci troviamo, è quella dominata dallo Stanley Peak, una montagna che nessuno di noi ha mai sentito, ma che diventa il nostro nuovo obiettivo.
Lasciata la macchina lungo la strada, imbocchiamo la lunghissima valle immergendoci nella fitta foresta di aghifogli. Si cammina in piano cantando per tenere lontani gli orsi: qui gli avvicinamenti sono parte consistente dell’avventura. Arrivati al fronte della valle ci troviamo sotto alla bastionata della nostra montagna, che a balze si alza misteriosa e rigata da mille cascate.
Individuiamo la possibile linea nella parete, andando a cogliere una cengia che taglia nettamente gli strapiombi di roccia grigia. Si sale, si sale sempre sperando di trovare la giusta via. Sappiamo che dobbiamo andare a prendere e risalire la cresta nord, ma superata una balza ce n’è sempre un’altra dopo e non si capisce dove sia la cresta vera e propria.
Alla fine la scoviamo ed inizia l’arrampicata, sulla roccia più marcia che si possa immaginare. Le incertezze sono molte, numerosi i torrioni che superiamo uno ad uno, con l’augurio di poter scorgere finalmente la cima della montagna.
Dopo un ultimo salto precario, sbuchiamo ad un pianoro. Avevamo una labile speranza che la cima fosse qui, invece la vetta è ancora drammaticamente lontana. Dovremmo mollare, il buon senso direbbe così, invece la guardiamo e ne siamo sedotti. Discutiamo seduti davanti al colosso, all’ultima bellissima piramide che sorregge la cima. Il punto più critico sembra essere un’alta fascia verticale di roccia compatta, poco sotto alla vetta. Decidiamo di andare a vedere.
Altra arrampicata su roccia marcia, con quella voglia di farcela che sa darti forza anche dopo ore di fatiche e incertezze. I ghiacciai brillano bianchi, la parete nord precipita scintillante. Noi proviamo a trovare un passaggio strisciando su quei blocchi di roccia liscia, infilandoci nelle sue fessure verticali. Ci vorrebbe più tempo e più attrezzatura. Solo una possibilità rimane: provare ad esplorare il canalone che lontano, oltre una lunga cengia, potrebbe aprire la montagna verso il suo punto più alto.
Lo tento da solo, spinto da Ale, mentre gli altri si fermano lì per coprirmi la ritirata. E’ un sollievo sapere che sono lì ad aspettarmi, sento tutto il loro appoggio, siamo una squadra e vado in vetta per tutti. E’ una sensazione che al di là delle retoriche ho provato pochissime volte: una su tutte è questa!
Quando sbuco in cima, oltre la calotta nevosa, con ai piedi il ripidissimo sfasciume, sono felicissimo. Le gambe mi tremano, le Montagne Rocciose sono attorno a me, ce l’abbiamo fatta!

martedì 16 ottobre 2018

Diario canadese: l'acqua (il Duca)



Giro di messaggi prima della partenza, l’importanza di non dimenticare nulla, soprattutto l’essenziale: piccozze, corde, scarponi… il costume. Sembra una battuta, ma alla fine tutti e quattro ne abbiamo uno, ben nascosto tra il materiale da alpinismo: c’è voglia di vacanza.
E l’acqua e il bagno sono stati una costante, soprattutto per quel pazzo di Greg che senza esitazione si è buttato nei laghi più ghiacciati.
C’è come la voglia di lavare via qualcosa, di purificarsi, di lavare via la stanchezza e lo stress, le sensazioni più appiccicose e fastidiose. Il problema non è la fatica delle scalate, è un’altra stanchezza che si accumula nel cervello per tutto l’anno.
E quante sensazioni legate al rapporto battesimale con l’acqua: 
Nelle fonti termali a 2700m, pozze naturali d’acqua calda ai piedi dei nevai, ore di cammino lontane da qualsiasi segno umano. 
Nella piscina del primo hotel, prima di andare a saccheggiare il buffet, ridendo perché non è affatto alpinistico, ma proprio per questo è una figata. 
Nel laghetto sotto la cima del Temple, dove il bagno di Greg ed Ale è stata una scusa spettacolare, la sede ideale per riposarsi e chiacchierare serenamente. 
Alle terme di Radium, perché: “visto che il piano è saltato, tanto vale godersela un po’!”.

lunedì 15 ottobre 2018

Diario canadese: Mount Temple (il Duca)




Il Mount Temple è una montagna grandiosa e bellissima. Quando ho letto che la sua salita non presenta particolari difficoltà tecniche non ho avuto dubbi: sarebbe stata il nostro secondo obbiettivo, il giro di riscaldamento prima dell’Assiniboine.
Mentre la parete nord è un immenso muro di ghiaccio, sovrastato da un grande seracco pensile, il versante sud è costituito da diverse balze di roccia verticale, intervallate da larghe cenge ghiaiose.
La via da noi scelta percorre la cresta est, che è una delle grandi classiche delle montagne canadesi.
Partiti dall’azzurrissimo Lake Louise (affollato già di primo mattino) ci siamo immersi nel bosco iniziando il nostro lungo viaggio di avvicinamento. Prima caratteristica delle Montagne Rocciose è il fatto che il diritto a scalarle va davvero guadagnato, con marce infinite che consentono di coprire le decine di kilometri che ti separano dalla montagna vera e propria.
Eppure è proprio in questi avvicinamenti che ti si schiude la magica bellezza che si nasconde su queste montagne.
Usciti dal bosco abbiamo attraversato una valle verde smeraldo, dominata dalle pareti rocciose dei Ten Peaks e dalla mole del Mount Temple, che finalmente si è svelato in tutta la sua possanza. Superati una serie di laghetti, siamo saliti ad un passo dove ci siamo concessi un po’ di riposo prima di attaccare la cresta rocciosa.
Ci circondavano torrioni di roccia stratificati con diversi colori, mentre in lontananza si intravedevano grandi montagne innevate. I nostri volti erano tutti lì: Andrea, Greg, Ale, come improvvisamente buttati in una dimensione che solo qualche mese prima era solo un’idea abbozzata.
La cresta è stata una lunga e facile scalata. Poi la vetta e il vento del nord che ci ha reso felici: noi quattro lassù, ognuno con la sua storia, ma insieme nel cuore del Canada.

domenica 14 ottobre 2018

Diario canadese: la strada (il Duca)

Passaggio in macchina fino a San Donato, metropolitana fino a Milano Centrale, pullman per l’aeroporto di Orio al Serio. Bivacco. Volo per Kiev, aereo fino a Toronto; ritiro bagagli, alluvione della città, voli soppressi, ritardi. Aereo per Calgary, navetta per l’hotel, dove arrivo distrutto dopo 48 ore di viaggio. I miei amici dormono nella stanza, Ale mi dà il benvenuto mezzo addormentato: la squadra c’è, siamo arrivati tutti.
Una delle cose più impressionanti del nostro viaggio in Canada sono le strade, e non è una metafora. Strade lunghe, infinite, vuote, che tagliano immensi spazi di terre selvagge dove l’unica traccia umana è quella strada. Si viaggia per ore senza incontrare una sola casa, centinaia di kilometri di fitta foresta disabitata dall’uomo, attraversata da quella striscia di asfalto perfetto.
L’aria è ritmata dalla musica country che suona come la colonna sonora di un film, ma su quella macchina ci siamo davvero: quattro uomini alla ricerca di un sogno. Oltre la coltre dei boschi si nascondono le montagne, avvolte nei fumi degli incendi che stanno devastando la regione, le montagne che come un filo di Arianna ci hanno condotti fin qui. Noi viaggiamo lungo la strada, da un angolo all’altro delle Montagne Rocciose, raccogliendo i frammenti delle nostre anime che si annidano sulle cime del mondo.

lunedì 24 settembre 2018

Canada expedition 2018


giovedì 20 settembre 2018

Liberi Liberi (Vasco Rossi)

Liberi liberi siamo noi
però liberi da che cosa
chissà cos'è?...chissà cos'è!
Finche' eravamo giovani
era tutta un'altra cosa
chissà perché?...chissà perché!
Forse eravamo "stupidi"
però adesso siamo "cosa"...
che cosa...che?...che cosa...se!..?...
"quella voglia", la voglia di vivere
quella voglia che c'era allora....
chissà dov'e'!....chissà dov'e'!?

Che cos'è stato
cos'è stato a cambiare così?
...mi sono svegliato ed era tutto qui
vuoi che dica anche se
soddisfatto di me
in fondo in fondo lo sono mai stato
"soddisfatto" di che?
ma va bene anche se...
se alla fine il passato e' passato!

Liberi liberi siamo noi
però liberi da che cosa
chissà cos'è?...chissà cos'è!
...e la voglia, e la voglia di ridere
quella voglia che c'era allora
chissà dov'è?!...chissà dov'e'!

Cosa diventò, cosa diventò
quella "voglia" che non c'è più
cosa diventò, cosa diventò
che cos‘è che ora non c‘è più
cosa diventò, cosa diventò
quella "voglia" che avevi in piu'
cosa diventò, cosa diventò
e come mai non ricordi piu'......

lunedì 9 luglio 2018

mercoledì 6 giugno 2018

Better Days (Bruce Springsteen)

Well my soul checked out missing as I sat listening
To the hours and minutes tickin' away
Yeah just sittin' around waitin' for my life to begin
While it was all just slippin' away
I'm tired of waitin' for tomorrow to come
Or that train to come roarin' 'round the bend
I got a new suit of clothes a pretty red rose
And a woman I can call my friend
These are better days baby
Yeah there's better days shining through
These are better days baby
Better days with a girl like you

Well I took a piss at fortune's sweet kiss
It's like eatin' caviar and dirt
It's sad funny ending to find yourself pretending
A rich man in a poor man's shirt
Now my ass was draggin' when from a passin' gypsy wagon
Your heart like a diamond shone
Tonight I'm layin' in your arms carvin' lucky charms
Out of these hard luck bones

These are better days baby
These are better days it's true
These are better days
There's better days shining through

Now a life of leisure and a pirate's treasure
Don't make much for tragedy
But it's a sad man my friend who's livin' in his own skin
And can't stand the company
Every fool's got a reason for feelin' sorry for himself
And turning his heart to stone
Tonight this fool's halfway to heaven and just a mile outta hell
And I feel like I'm comin' home

These are better days baby
There's better days shining through
These are better days
Better days with a girl like you

These are better days baby
These are better days it's true
These are better days
Better days are shining through

venerdì 27 aprile 2018

Costruire un Sogno (il Duca)


Domenica mattina: sulla mia scrivania c'è il portatile aperto, attorno: foto, appunti, fogli e quaderni. Allungo lo sguardo soddisfatto, vorrei che quell'istante di pura e dolce illusione durasse in eterno.
A pranzo siamo attorno al tavolo, si chiacchiera mangiando formaggio e salame, accompagnati da vino e sidro di mele. Guardo i volti dei miei amici, uno ad uno. Ognuno ha le proprie storie scritte sulla pelle, ognuno è lì con la propria vita quotidiana incastrata fra le dita e l'insopprimibile capacità di sognare.
Sento che c'è qualcosa di speciale, una certa gratitudine mi inonda il cuore. Saremo capaci di coordinare i nostri sogni? Di seguire insieme quella vocazione che ci ha fatto accumulare esperienze? Quelle esperienze che troppo spesso diamo per scontate, ma che hanno qualcosa di straordinario, che ci hanno resi ciò che siamo.
Guardiamo insieme il piano per un sogno: si parla di giorni, di hotel, auto a noleggio, bivacchi. Si discute di aerei, si prendono appunti, si tratta di corde, mappe, permessi, piccozze.
Osservo ancora il volto dei miei amici, uno ad uno. Ci siamo divisi i compiti, la sensazione è quella di chi si sta avvicinando alla parete, la osserva sapendo che c'è ancora da faticare, ma già la sente vicina, ne percepisce lo spirito potente.
La scalata di un sogno a volte parte da lontanissimo, e oggi, nella bassa milanese avvolta dal brutto tempo, già ci stiamo avvicinando ad una montagna aguzza nel cuore del Canada. Il sogno è ancora fragile, bisognerà incaponirsi e non perdere la rotta per non lasciare che si infranga.
In alpinismo c'è un vantaggio fondamentale: l'irresistibile richiamo della meta. In questo richiamo si costruisce tutto, un pezzo per volta. E ora si tratta di seguirne ogni pezzo, uno ad uno, assaporandone ogni parte.

mercoledì 18 aprile 2018

La forza di un'attesa (il Duca)

Lei è la parete Fasana, enorme, selvaggia, sconosciuta.
S'innalza dal versante più nascosto delle Grigne e severa si affaccia sulla curva più a nord della Val Sassina, gettando la propria ombra su di un paesino dal nome affascinante: Primaluna.
Proprio da qui l'ho osservata la prima volta, prendendo un caffè ad un bar semivuoto, la mattina presto, attraverso una vetrata con la scritta blu. Proprio da qui ne sono stato rapito.
Come tante volte succede l'idea è arrivata da Ale. Gliene aveva parlato direttamente il Festorazzi durante una tappa al Brioschi, con quel bicchiere di rosso che sa sempre mescolarsi al sapore di nuovi sogni.
Si tratta della via Volpe Bianca, aperta nel 2008 quasi in segreto e poi fatta sparire da ogni documentazione, come fosse un mistero da custodire gelosamente.
Sono passati dieci anni, dieci anni in cui se ne è parlato spesso. Lei era lì, ma noi non eravamo pronti, o forse lei non era ancora disposta a lasciarci avvicinare.
La parete attacca bassa e poi si alza fino ai 2248m del Pizzo della Pieve, lasciando sempre dubbi sulle sue giuste condizioni. E' capace di mostrarsi imbiancata e gonfia di neve, con le valanghe che le tuonano mastodontiche lungo i fianchi; ma pochi giorni dopo puoi già trovarla spoglia e grigia, vera roccaforte di puro calcare.
La sua roccia è ruvida come la dolomia vergine, ma allo stesso tempo è fragile e insidiosa. Il suo ghiaccio è spaccoso, la sua neve soffice, gli infiniti canali e speroni la sorreggono come la colossale facciata di una cattedrale gotica, annerita dagli anni. Lei è bellissima e sublime.
Fa impressione, dopo tanti anni che se ne parla, partire davvero per realizzare un sogno, per scalare quella via. Improvvisamente ci si rende conto che lei è veramente lì, se ne riconosce il profilo osservato per anni in foto, se ne sente il profumo che si ha solo provato ad immaginare.
E a guardarla sbucare oltre le onde della neve, quella parete ci ha cacciato un brivido gelido su per la schiena. Il vento soffiava tagliente sulle nostre facce, mentre immobili stavamo a guardare quelle pieghe che da immaginazione diventavano reali.
E reale era il ghiaccio su cui picchiavano le nostre piccozze, la neve dove affondavamo con fatica; la roccia incrostata su cui cercavamo una soluzione, con la corda che scorreva nel moschettone del frend. La bellezza di sbucare sulla cresta sommitale, dove la neve danzava cullata dall'aria della cima, con le nubi bianche che impazzavano sul filo di cornici.
La gioia di quella bellezza è qualcosa di misterioso e commuovente. Con ai piedi la grande parete, con nel cuore l'attesa che si schiude, come un fiore paziente che finalmente può aprirsi sprigionando quello che ha coltivato per tanto tempo. La forza di un'attesa che si illumina vestita di pura felicità.

martedì 27 marzo 2018

Rocket Man (Elton John)

She packed my pags last night, pre-flight
Zero hour, nine AM
And I’m gonna be high
As a kite by then

I miss the earth so much I miss my wife
It’s lonely out in space
On such a timeless flight

And I think it’s gonna be a long, long time
Touch down brings me round again to find
I’m not the man they think I am at home, oh no no no
I’m a rocket man, rocket man, burning out his fuse up here alone

Mars ain’t the kind of place to raise your kid
In fact it’s cold as hell
And there’s no one there
To raise them if you did

And all this science I don’t understand
It’s just my job five days a week
A rocket man
A rocket man

And I think it’s gonna be a long, long time
Touch down brings me round again to find
I’m not the man they think I am at home, oh no no no
I’m a rocket man, rocket man, burning out his fuse up here alone

lunedì 5 febbraio 2018

Tomek, sognare più vero (il Duca)

Il Nanga Parbat, la montagna assassina.
Così recita il cartello che dalla strada invita i passanti ad ammirare il grande gigante del Kashmir, avvolto nella sua armatura di seracchi e rocce verticali.
La montagna appare cattiva, terribile e inaccessibile. Enorme.
Eppure alcuni uomini hanno dedicato un gran pezzo della propria esistenza a bramarla, a sognarla, ad adorarla. Bellezza ammaliante che richiede sacrifici e sforzi enormi. Fatiche immani, gelo, lacrime, perdite irrecuperabili.
Che cosa si nasconde lassù perché uomini le sacrifichino davvero la propria vita? Qual è il richiamo irresistibile che da quella vetta scende inondando il cuore? Che cosa canta la montagna dall'alto della sua indifferente eternità?
Follia? Desiderio? Di cosa?

Un pensiero mi martella nella testa, continuamente, fin da quando l'elicottero pakistano ha portato in salvo Elisabeth. Penso a Tomek lassù sulla montagna, cieco e infortunato nel crepaccio a 7300m, rannicchiato, solo.
Avrà sentito l'eco dell'elicottero avvicinarsi e poi allontanarsi dai fianchi del gigante? Quando si sarà rassegnato, accantonando ogni speranza di salvezza?
Penso all'alpinista polacco che per sette volte si è portato ai piedi del Nanga Parbat, in inverno, quando il freddo è insostenibile e le condizioni proibitive. Ha corteggiato quel colosso terrificante, luminoso, bellissimo.
Ha provato a scalarlo da ognuno dei suoi versanti, da diverse vie, con diversi compagni; sempre col suo stile.
In anni di alpinismo himalayano Tomek non ha mai affrontato un altro ottomila, non ha mai provato ad attaccare il Nanga in estate, per vedere com'era. Tomek era forse un pazzo, squinternato, equipaggiato ai minimi termini e senza un becco di quattrino, però aveva ben chiaro il suo sogno: si chiamava Nanga Parbat, in inverno.
Chissà nella profondità del suo cuore, conservato in un corpo che stava morendo congelato e disidratato, cosa provava Tomek. Chissà lì nel crepaccio, alla fine del suo cammino, cosa pensava Tomek che finalmente sul Nanga Parbat ci era stato per davvero, fino alla cima, in inverno.

C'è qualcosa di straordinario nella realizzazione di un sogno, di un sogno così grande che è terribile, che richiede sacrifici enormi e fatica e perdite irrecuperabili. C'è qualcosa di straordinario che fa commuovere perché non è un bel sogno, non è uno di questi sogni che ci hanno insegnato a sognare.
Si tratta di quello che Nietzsche chiamava sognare più vero. Si tratta di accettare il prezzo del proprio desiderio e affondare la propria vita nella durezza della terra, passo dopo passo, verso una bellezza enorme. Una bellezza immensamente più grande di noi che però sa chiamarci in modo inesorabile, intimamente, fino alla profondità del nostro essere.
Forse per un ideale così, che è molto più di un sogno, val la pena dare la vita: val la pena vivere, per davvero.

domenica 7 gennaio 2018

Ricordando il 2017


martedì 2 gennaio 2018

Tougher than the rest (Bruce Springsteen)

Well it’s Saturday night
you’re all dressed up in blue
I been watching you awhile
maybe you been watching me too
so somebody ran out
left somebody’s heart in a mess
well if you’re looking for love
honey I’m tougher than the rest

Some girls they want a handsome Dan
or some good-lookin’ Joe on their arm
some girls like a sweet-talkin’ Romeo
well ‘round here baby
I learned you get what you can get
so if you’re rough enough for love
honey I’m tougher than the rest

The road is dark
and it’s a thin thin line
but I want you to know
I’ll walk it for you any time
maybe your other boyfriends
couldn’t pass the test
well if you’re rough and ready for love
honey I’m tougher than the rest

Well it ain’t no secret
I’ve been around a time or two
well I don’t know baby
maybe you’ve been around too
well there’s another dance
all you gotta do is say yes
and if you’re rough and ready for love
honey I’m tougher than the rest
if you’re rough enough for love
baby I’m tougher than the rest