giovedì 30 settembre 2021

Stupidamente felice (il Duca)

Scendendo l'ultimo ripido pendio raggiungo finalmente Campo 2, a 5500m, nevica da un'ora e una parte di tenda è già sepolta.
Con le mani e gli scarponi libero l'ingresso, faccio sibilare la cerniera e mi butto dentro, rimanendo lì sdraiato con i piedi di fuori.
I miei pensieri sono stanchi, le idee sono un po' confuse, ma in mezzo alla mia faccia segnata dall'alta quota troneggia un sorriso immenso.
Lentamente mi sfilo i ramponi e gli scarponi e richiudo l'ingresso, lasciando fuori la bufera che si gonfia sempre più cattiva. Butto qua e là le robe sparse nella tenda, mi tolgo dalle spalle lo zaino carico di neve e lo sistemo in un angolo, quindi mi sdraio sul materassino coprendomi col sacco a pelo.
Ho la gola arsa, ma non posso procurarmi liquidi.
Ho la faccia bruciata e ferita e le labbra secche come cartone, ma non posso farci proprio niente.
Ho fame, ma non ho altro che una mezza merendina kazaka, che sa di muffa e di cacao scaduto.
La temperatura sta scendendo velocemente, sento il freddo iniziare a graffiarmi le ossa, anche stanotte toccherà i -30 e dovremo lottare col ghiaccio che si forma sul telo interno.
Eppure, nonostante tutto questo, ho una felicità immensa che mi riempie il petto.
Sono contento, sono totalmente felice, in maniera indescrivibile.
Chiudo gli occhi e ripenso a tutto quello che mi ha portato ad essere qui: gli allenamenti massacranti, le ore per organizzare tutta la spedizione, le giornate infinite su questa gigantesca montagna dall'altra parte del mondo.
Ripenso a quello che ho vissuto oggi, i dubbi alla partenza e l'esaltazione che ho sentito in parete, quando ho trovato ancora una volta la sintonia totale con la montagna. Penso all'abisso che ho percorso, a quelle muraglie infinite di ghiaccio e roccia che ho scalato passo dopo passo, appeso fra le braccia immense del Khan Tengri. Ripenso alla cima, agli ultimi passi prima di toccarla e a quando, dopo tre settimane, mi si è schiuso un altro mondo, un'altra prospettiva.
Sono felice così, lì sdraiato e distrutto in attesa che arrivi anche il mio compagno di cordata.
Sono così follemente ed immensamente felice che scoppio a ridere da solo, come un matto vero. E' una risata muta, è solo un sibilo quello che riesce ad uscire dalla mia gola bruciata, ma è la risata più sincera che mi sia mai capitata.
Perché sono così felice? Così scioccamente felice?
Mi viene in mente la frase del mio caro Platone: “Per chi intraprende cose belle, è bello soffrire, qualsiasi cosa gli tocchi”.
E questa stessa felicità l'ho letta mille volte negli occhi di ognuno dei miei amici, dopo ogni scalata, specialmente le più problematiche. E' una felicità che abbiamo condiviso molte volte senza neppure dovercelo dire. E in fondo... e in fondo quale altro motivo avremmo per vivere, se non per inseguire la bellezza? Per respirare la bellezza e guadagnarci un pezzettino per volta, un passo dopo l'altro, brandelli di autentica felicità?