Passaggio in macchina fino a San Donato, metropolitana fino a Milano Centrale, pullman per l’aeroporto di Orio al Serio. Bivacco. Volo per Kiev, aereo fino a Toronto; ritiro bagagli, alluvione della città, voli soppressi, ritardi. Aereo per Calgary, navetta per l’hotel, dove arrivo distrutto dopo 48 ore di viaggio. I miei amici dormono nella stanza, Ale mi dà il benvenuto mezzo addormentato: la squadra c’è, siamo arrivati tutti.
Una delle cose più impressionanti del nostro viaggio in Canada sono le strade, e non è una metafora. Strade lunghe, infinite, vuote, che tagliano immensi spazi di terre selvagge dove l’unica traccia umana è quella strada. Si viaggia per ore senza incontrare una sola casa, centinaia di kilometri di fitta foresta disabitata dall’uomo, attraversata da quella striscia di asfalto perfetto.
L’aria è ritmata dalla musica country che suona come la colonna sonora di un film, ma su quella macchina ci siamo davvero: quattro uomini alla ricerca di un sogno. Oltre la coltre dei boschi si nascondono le montagne, avvolte nei fumi degli incendi che stanno devastando la regione, le montagne che come un filo di Arianna ci hanno condotti fin qui. Noi viaggiamo lungo la strada, da un angolo all’altro delle Montagne Rocciose, raccogliendo i frammenti delle nostre anime che si annidano sulle cime del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento