venerdì 2 dicembre 2016

Il miracolo di granito (il Duca)

Arrivo sudato marcio al rifugio e mi siedo sulla panchina di pietra. Le nubi grigie avvolgono le montagne: non si vedono ma so che sono là, si innalzano dritte e immense con le loro pareti di granito.
Ordino una birra e mi metto a sorseggiarla. Provo a rilassarmi respirando quest'ultimo sole, ma la preoccupazione c'è e continua a rimanere annidata nel mio animo. Ho addosso il peso di una settimana difficile e fastidiosa, ho addosso l'incognito inquietante di domani mattina: quell'enorme cattedrale ammirata infinite volte, quella roccia che come un incantesimo mi riempie la testa.
Avrei bisogno di tranquillità, di buttare fuori i cattivi pensieri. Ma sono qui per qualcos'altro, non per svuotarmi, ma per riempirmi, per portare dentro di me qualcosa che è lassù.
Come sarà domani? Percorro con la mente i diversi passaggi che ho letto mille volte sulle relazioni, li penso e provo a figurarmeli. Spero che il meteo sia davvero buono: “devo essere fuori dalla parete prima che salgano i nuvoloni”.
Le incognite sono mille, avrei bisogno di rilassarmi dopo la brutta settimana appena trascorsa; eppure sono qui. Sono qui come se me l'avesse imposto il destino.
Non riesco a pensare a come potrebbe essere dopo, dopo la scalata. Non riesco a immaginare come possa essere sbucare in cima, finalmente. La vetta la percepisco come qualcosa di indefinito, che potrebbe anche non esistere: per ora è solo un ideale a cui aspiro da anni. E ora sono qui, sono proprio qui sotto, come Ulisse in prossimità delle Colonne d'Ercole.

La notte dormo bene. La melma della settimana non può sopravvivere all'ombra delle stelle, in questa valle di severa bellezza.
Mi siedo a fare colazione sullo stesso tavolo dove ho cenato, ma le parole, le risate e i brindisi della sera prima sono scomparsi. Ora sono concentrato, non penso più alla via, alla relazione, alla montagna, ho come raggiunto l'equilibrio che cercavo. Mangio tranquillo, poi sistemo lo zaino e esco sulla veranda. Davanti a me si alza incredibilmente bello il Badile, lo conosco bene, sembriamo fatti uno per l'altro.
Allaccio gli scarponi e parto: scavalco il muretto della veranda e mi sento una nave che lascia il porto per il mare aperto.
Risalgo la morena senza pensieri, semplicemente puntando al torrione da dove parte la via. Lo raggiungo salendo a zig zag e lancio un'occhiata verso l'alto. I movimenti sono automatici: mi tengo salda la mia concentrazione, mentre infilo l'imbrago e allaccio il caschetto. Faccio scattare i pochi moschettoni, ognuno al suo posto, e attacco.

C'è una magia che è impossibile da spiegare. L'ho provata tante volte, eppure quando ci ripenso mi stupisce sempre. Si crea una sintonia commovente con la montagna, l'incognito che prima spaventa diventa famigliare e si fonde con la volontà. L'ho sentita sui pendii di misto del Monviso e nel canale di neve del Foppa, con le slavine che mi passavano sopra alla testa. L'ho sentita nell'assalto al Chapaeva, nel lontano Tien Shan, come nel cuore del Mengol. L'ho sentita sulle creste delle Orobie come nel ghiaccio del Brenta. E' una magia che ti prende nella tua totalità, in ogni movimento del corpo e nella dinamicità della tua anima, e ti getta nel cuore pulsante del mondo fondendoti con esso.

Come correndo verso casa sono arrivato all'obelisco della cima e mi sono seduto sulla roccia scaldata dal sole. Attorno a me la bellezza delle montagne, ma non è uno spettacolo; è semplicemente quello che c'è, come se tutta quella bellezza fosse normale. E io non sono lo spettatore, ma un figlio di quelle montagne a cui la Bellezza ha ancora una volta concesso un miracolo.

giovedì 27 ottobre 2016

Sensazioni (il Duca)

A volte è proprio difficile capirci, guardando la cosa dall'esterno direi che siamo proprio dei cretini.

Giornata schifosa, pomeriggio ad un convegno che non sa di niente, torno a casa che piove. Nella casella della posta trovo l'ennesima multa, una schifosissima bolletta e una lettera che mi ricorda che mi scade la revisione. Faccio da mangiare e mi cade il guscio sporco dell'uovo nel sugo, l'acqua per lavare i piatti è fredda, il vino è diventato aceto. Guardo la muffa nella doccia, dannata! Ed è pure finita l'ammoniaca.
Eppure mentre scrivo tutto questo ho una dannata frenesia che mi fa tremare e sorridere come un demente. 
Lo so benissimo cos'è: è quella telefonata che ho appena riattaccato; è la telefonata che mi conferma che sabato si va. 
Prenderemo un sacco di freddo nella nostra tenda, scomodi e lontani da qualsiasi carezza femminile. Ci accontenteremo di un tea tiepido, mentre la paura ci farà sudare e gli scarponi sembreranno pezzi di ghiaccio.
L'appuntamento è con quella via che ci è rimasta impressa nella testa, pezzo dopo pezzo. Ciò che ci chiama è la stessa parete che spiamo dai nostri PC, dall'ufficio, quando la vita quotidiana ci concede una manciata di secondi.
La prima volta si è difesa dietro al vento caldo. La seconda volta ci ha quasi ammazzati, lasciandoci in vita solo per averla ancora e sempre davanti agli occhi, come un sogno nascosto.
Che cosa vuole da noi quella parete, quel groviglio di ghiaccio e roccia? Fianco di una montagna salita infinite volte, appena conosciuta da chi frequenta la valle e poco più. Che cosa continua ad attrarci, come se l'averci graziato le desse il diritto di farci ancora sognare? Come se fossimo destinati a tornare ancora da lei.
Che cosa vuole da noi quella montagna, quella cima, quella via, da renderci felici al solo pensiero di essere ancora lì: conficcati nel suo cuore pulsante, legati ancora insieme?

Eppure ho letto molto, molti alpinisti, molti intellettuali della montagna. Ma mentre scrivo qui, buttando semplicemente giù quello che mi accade, sento che quello che ho letto non vuole dire niente, nulla! Come è misterioso questo fatto, questa bellezza che si nasconde in un solco selvaggio e spietato. Certamente domani, quando sarò tra i miei studenti, tra mille problemi che nulla hanno a che fare con questo, avrò una strana luce da mostrare loro. La mia stupida voglia di vivere un sogno che fa sudare, con l'obbiettivo ben saldo nel cuore e tutta la mia volontà di raggiungerlo. Il dono di una bellezza ostinata che ti chiama inesorabile, come il richiamo del proprio destino!

martedì 4 ottobre 2016

Racconti di Ghiaccio e Roccia



Ecco il mio libro in ebook, pubblicato dalla casa editrice Delos Digital per la collana Versante Est. Acquistabile in tutti i principali store on-line.

domenica 2 ottobre 2016

dal Mare ai Pirenei


mercoledì 31 agosto 2016

Parlare di filosofia con Dio (il Duca)

Maledetto, costretto da quell'irrefrenabile desiderio di bellezza, libertà, cielo sopra alla testa.
Arde il fuoco, brucia, brucia il cuore, senza fine, brucia e arde in petto. C'è qualcosa che non va mentre solco la strada, mentre guardo la gente attorno a me e cerco di capire cosa gli passa per la testa. C'è qualcosa che non va nei negozi che costeggiano la via, c'è qualcosa che faccio fatica a capire nelle storie che mi circondano.
Ci si sente come la trota che prova a risalire il fiume, mentre tutto passa, tutto corre così stupidamente veloce da sembrare sempre uguale.
Cosa hanno di maledettamente essenziale le pareti di granito, quello slancio verticale verso il cielo? Ho nostalgia del silenzio, in ogni istante, sempre. Del silenzio che abbraccia lo scrosciare del torrente, il danzare del vento, il cuore che lentamente batte. Ho nostalgia della mattina, quando ci si affaccia dalla tenda col sole che dipinge i profili delle montagne e la voglia esplosiva di vivere. Mi manca casa mia, il fornellino che sibila in compagnia di Ciccio; la soddisfazione di sdraiarsi sul prato dopo la cima.

Un vecchio siede di fianco a una ragazzina, su di una panchina davanti al centro commerciale. Lei ascolta la musica muovendo le gambe nude sotto alla gonna nera, lui la guarda silenzioso. C'è una tristezza infinita in quello sguardo, la malinconia di chi si domanda dove è finita la sua vita. E c'è una tristezza infinita in quella ragazza che scorre le dita sul suo cellulare, cercando freneticamente qualcosa che non può trovare.

Si parla sempre di cose stupide. Più si ride, più si parla di cose stupide. Non riesco più a dire cose che mi interessano, se non molto raramente. Si viene sempre soffocati dalla sensazione che chi ti ascolta ha trovato giusto un momento per farlo, in attesa di dire poi la sua. Ma quel momento a me non interessa, per niente. E non mi interessa neppure se devi rispondere a qualcun altro, che è da qualche altra parte. Io voglio tutto: l'infinito, l'immortalità di un'idea, la grandezza dell'assoluto. Voglio parlare di filosofia con Dio. Non arretrerò davanti a questo (al massimo tacerò o mi difenderò assecondando la stupidità).

C'era una volta un gruppo di amici, cacciatori dell'inutile. Sedevano in un chiostro di colonne spezzate e discutevano. Tra loro c'erano personaggi illustri: Heidegger, Platone, Nietzsche, Husserl, Derrida. A volte veniva persino Hegel. Si tendeva così intensamente all'Ideale che a momenti pareva quasi di scorgerlo, bellissimo e luminoso in quelle pareti di mattoni. E' stato il periodo più bello della mia vita, che continuava in qualche appartamento tra litigate e punti-di-incontro. E poi è quasi sembrato che quella discussione potesse scoppiare in una rivoluzione, in assemblee e poesie recitate in piazza.
Ma tutto è passato, gli amici hanno preso altre strade, ognuno la propria; e se anche ci si incontra non sarà più uguale, mai più.

La vite entra nel ghiaccio della grande parete. Guardo in basso, oltre le punte dei miei ramponi scorgo Lallo, chinato sulle sue piccozze. Tra noi la corda rosa che passa nel rinvio, in alto l'ultimo scivolo di neve che sorregge la cima. Non bisogna chiedere permesso, lei è li che aspetta solo noi, biancheggiando luminosa e bellissima. Non bisogna chiedere il permesso perché è lei a chiamarci, invitandoci a salire; lei che è semplicemente lì nella sua eternità infinita.
Non c'è rabbia, non c'è incomprensione, ma solo il coraggio di seguire il proprio desiderio: il coraggio di tornare a casa, a parlare ancora una volta di filosofia con Dio.
Ecco, io ho bisogno di questo coraggio, sempre, tutti i giorni. Finché respiro. Il coraggio di tornare verso casa, di non piegarsi al richiamo del nulla.

martedì 30 agosto 2016

Streets of Philadelphia (Bruce Springsteen)

I was bruised and battered, I couldn't tell what I felt.
I was unrecognizable to myself.
I saw my reflection in a window, I didn't know my own face.
So brother are you gonna leave me wasting away
On the streets of Philadelphia.

I walked the avenue 'til my legs felt like stone,
I heard voices of friends vanished and gone,
At night I hear the blood in my veins,
Just as black and whispering as the rain,
On the streets of Philadelphia.

Ain't no angel gonna greet me.
It's just you and I my friend.
And my clothes don't fit me no more,
I walked a thousand miles
Just to slip this skin.

Night is fallen, I'm lying awake,
I can feel myself fading away,
So receive me brother with your faithless kiss,
Or will we leave each other alone like this
On the streets of Philadelphia.

venerdì 26 agosto 2016

Appunti di viaggio (il Duca)

Zucchero canta le sue 13 ragioni, la nostra invece rimane misteriosa, mentre la macchina corre sull'autostrada.
La strada è lunga e i caselli numerosi, ma alla fine eccoci a Montpellier. Tre alpinisti persi per le stradine medioevali, con gli zaini, i caschetti e i turisti in canottiera che ci guardano straniti. Sui gradini una ragazza che è un ragazzo, la nostra stanza piena di coccodrilli di gomma e un albero rinsecchito: come primo bivacco c'è da rimanere sbigottiti. Ma ci si diverte con del buon vino e quattro passi per i monumenti della città.
La strada è ancora lunga, si riparte. Pranzo fra le bancarelle strabordanti di antichità e oggetti quotidiani (o solo vecchi); l'accoglienza è già quella della gente di montagna, ci si sente un po' a casa. Scavalchiamo il passo e scendiamo in Spagna, arrivando al parcheggio sopra Benasque.
Mario fa lo spagnolo, sulla navetta altri con la ferraglia, e poi di corsa al rifugio dove si entra in quel mondo che è il nostro: quello degli alpinisti. Cena, grappa, qualche chiacchiera e in branda!

La salita dell'Aneto, la cima più alta dei Pirenei, è molto bella. Non difficile tecnicamente, è però completa con ghiacciaio, crestina di roccia e la libertà che la montagna ci sa regalare. Tanto per complicarci le cose, andiamo a cercare una discesa improvvisata tra nevai, morene e cenge nascoste, in pieno stile Foglia. Bagno nelle pozze cristalline del torrente e nuotata in tre birre giganti, e poi questo posto mi ricorda con grande nostalgia l'Adamello.
A Benasque ci sono le terme, posto curioso. C'è anche il Cassin dei Pirenei, sembra un po' strano e alla fine il ristorante giusto non lo trova neppure lui: amen, risolviamo a modo nostro!

Dopo una notte in valle si riparte, ancora. Visita di un borgo medioevale, con la scusa di fare la spesa e sbirciare le previsioni meteo. Dalle mura del castello ci impensieriscono le nubi che si accatastano sulle montagne, ma risolviamo tutto con lo shopping complicato di Mario e lo street boulder di Ale. Poi ancora via, verso Bujaruelo dove ci accoglie il vento freddo e una pioggia violenta.
Attendiamo, ingannando il tempo con diverse birre, le patatine con salsa piccante e un invito galante. Alla fine il temporale passa e partiamo per il nostro bivacco. La valle è lunga, verde come le descrizioni bucoliche di Virgilio. Quando arriviamo raccogliamo la legna e ci sistemiamo sul comodissimo pavimento di cemento armato. Il fuocherello scoppietta, arrostendo i wurstel che si sposano perfettamente con la bottiglia di vino. Una sorsata di grappa a testa (forse qualcosa di più) e a nanna.

Il giorno dopo, con Mario, scalo l'immenso versante est del Vignemale, saliamo per la via della Moskowa. Ale non viene con noi per un dolore al piede, ci raggiungerà al rifugio francese lungo la via normale. Noi facciamo un gran viaggio fra placche di calcare, nevai incastonati e un bel caminetto roccioso; il tutto molto selvaggio. Dalla cima, scendiamo in Francia per il ghiacciaio e poi risaliamo al rifugio dove ritroviamo il nostro compagno. Qui rischiamo di dover affrontare subito un nuovo lungo viaggio, perché il rifugio è strapieno e noi non siamo riusciti a prenotare. Un mezzo miracolo all'ultimo ci consegna tre brande (care, seppur scomode).
Per rientrare in Spagna il nostro sentiero scorre per molti chilometri, passando per due passi, la valle infinita di Ara e il rifugio sotto alla dolomitica parete Nord. Al termine trascorriamo una tranquilla serata a Bujaruelo, dove fuori soffia sempre il vento freddo.

E' già ora di ritornare, il viaggio è lunghissimo, la macchina corre ancora sulla strada fino alle coste francesi. Che belle le Calanques: le vertiginose scogliere che precipitano sulle calette trasparenti, che bello sentirsi in vacanza e bere birra sulle rocce. Pensando a casa, sembra ci sia la Grignetta che si puccia nel mare, anche lei in ferie.
E che bello anche l'applauso della gente, mentre slegato accarezzo la roccia sbucando sulla cima della guglia: pare quasi di essere liberi, per davvero. Grazie ragazzi.

venerdì 1 luglio 2016

Argentera 2016 (il Duca)

Seduti sulla veranda del rifugio ci godiamo questo sole pomeridiano di metà Giugno. Grossi nuvoloni grigio-scuro si avvicinano spinti dal vento, inondando le cime delle montagne attorno: poco importa, la nostra scommessa è già vinta, siamo al riparo avendo scansato il maltempo previsto.
Mi alzo e in ciabatte mi avvicino alla fontana dove a pochi passi pascolano due piccoli stambecchi. Il mio sguardo è rapito da quella parete lassù, dal ripido versante ovest dell'Argentera, il cuore delle Alpi Martittime. In mezzo a quelle placche di granito scuro una linea di neve e ghiaccio biancheggia, chiara e logica come un segno divino. E' tutto l'anno che sogno di buttare le mie piccozze là dentro, che mi chiedo come sarebbe stato stare qui, guardando dal basso quella scia che sale verso la vetta.
Le aspettative sono superate, è strana la sensazione che ora provo, la felicità mi prendere facendomi fremere. Mi giro a guardare i miei compagni: Ale sta chiacchierando col rifugista, Lallo si rilassa sulla sdraio, mi viene da sorridere, felice veramente.
Ore 4:15; ci allontaniamo tuffandoci nella morena, le luci delle frontali danzano fra massi e neve. Un'ora dopo la nostra cordata sta solcando il canale, il ritmo di picche e ramponi è costante, mentre il giorno nasce lentamente proiettandosi rosso alle nostre spalle. Ci muoviamo in un viaggio grandioso nel cuore della parete.
Sdraiati sulla cima sentiamo il caldo della roccia sotto di noi; ci rilassiamo a lungo assaporando la nostra salita giunta ormai al suo termine. Qualcosa è cambiato, non si tratta più di raccogliere il più possibile, ma di coltivare un sogno.
Attorno a noi pareti impressionanti, ma è la logicità di questa via a lungo sognata, su questa montagna a lungo desiderata, che mi rende felice.

Ci apprestiamo a scendere, Lallo ci ricorda di scattare qualche foto della cima. Perdiamo ancora qualche minuto e improvvisamente un pezzo di cima crolla, investendo il colatoio che stavamo per imboccare. Le foto di Lallo ci hanno salvato la vita! La cosa ci impietrisce e ci fa pensare.
Molto più in basso, scendendo trotterellando per il sentiero, riflettiamo: ancora una volta siamo vivi per pura coincidenza o per un miracolo. Un miracolo che si accompagna a chi sogna la bellezza, a chi sogna più vero e quella bellezza la insegue sfiorandola, sul filo della vita.

venerdì 3 giugno 2016

Elogio alla Grignetta (il Duca)

Quante volte sono arrivato in cima alla Grignetta? Proprio là dove c'è il bivacco-ufo, la croce dei Ragni, il vecchio deposito del Guido? Saranno almeno una trentina, con tutte le condizioni: d'estate con l'afa, d'inverno con la neve; con la pioggia, il vento, il sole che splende sul calcare bianco, candido come il Duomo di Milano.
Sono salito da vie diverse: di ghiaccio con le slavine che rombano, di roccia con le mani spellate; dal sentiero, da solo, con gli amici, il cane, la morosa, la famiglia.
La Grignetta è come la casa della nonna, ogni tanto si torna a trovarla. Tutto è assolutamente famigliare e riaccende ricordi mai dimenticati, ma allo stesso tempo sa regalare sempre qualcosa di nuovo. Si può provare ad andare ad esplorare anfratti mai percorsi, ma quando poi ci di affaccia a quell'altare di pietra che ne costituisce la vetta, ci si accorge che si è sempre lì: a casa.
Ricordo benissimo la seconda volta che sono arrivato in cima, la prima volta che ho salito il Canale Porta. Avevo una decina d'anni ed ero con mio papà.
Sulle spalle uno zaino molto più spesso di me e nel cuore l'emozione di salire legato ad una corda. Ricordo la bellezza di appoggiare le mie mani su quel calcare magico, mentre la sera si avvicinava abbracciando le guglie di quel mondo incantato. Dormimmo nel bivacco avvolti nei nostri sacchi a pelo e la mattina c'era fuori il Guido, in canottiera, che fischiettava facendo su il cemento.

Nella vita ci sono tanti momenti in cui ci si sente persi, ma basta che si dissolva un po' la foschia e dalla pianura la si vede proprio là: la Grignetta. Basta un po' di buona volontà e si può andare a trovarla, come si va a trovare la vecchia nonna. E questo è certo confortante.

mercoledì 25 maggio 2016

Sul monte degli dei (il Duca)

Spiaggia semi deserta, il mare si stiracchia sulla sabbia col suo fruscio silenzioso, mentre gli ombrelloni vuoti fanno compagnia alle sdraio bianche. Coste greche, mare Egeo, posto inusuale per quattro alpinisti con un sogno in testa.
C'è chi fa il bagno, chi sorseggia una birra, chi sgranocchia noccioline. Nell'aria c'è una tranquillità cercata e quel sogno, quell'identico sogno.
Il mito narra che i giganti venuti dalle viscere della terra hanno preso d'assalto la dimora degli dei, il monte Olimpo. Lassù c'è il dominio del mondo, l'immortalità, ma anche l'armonia e la bellezza. Lassù c'è la risposta ad un desiderio che si è destato nel cuore dei giganti, nelle viscere dei titani.
Che cosa siamo venuti a cercare fin qua, su questa spiaggia, su quella montagna? Che  cosa speriamo di trovare? Perché con tutte le cime delle Alpi, le vie da percorrere, siamo proprio qua?
L'Olimpo racchiude una magia pazzesca, lo realizzo pienamente la mattina uscito dal rifugio, quando nei soliti gesti da montagna mi trovo davanti l'alba rossa sul mare. La picca affonda nel couloir, i ramponi fanno presa nella neve e la mano sfiora la roccia; alle nostre spalle il mare blu, le spiagge chiare, davanti a noi la cima dolomitica del monte degli dei.
Dalla pista dell'aeroporto l'Olimpo appare possente e incredibile, coperto dal suo manto bianco di neve. Quattro amici salgono sull'aereo lasciandosi alle spalle questo sogno realizzato, portandosi nel cuore un pezzetto d'armoniosa bellezza: il magnifico dono strappato agli dei.

lunedì 11 aprile 2016

Spedizione (Nives Meroi)

Una spedizione sono due mesi allo stato brado. Due mesi di libertà che ti regalano la possibilità di avere uno sguardo più distaccato della vita quotidiana, di vederla in una prospettiva diversa. Sono anche la possibilità di fare silenzio, di fare il vuoto dentro di te e lasciare entrare impressioni nuove. Una cosa che ho capito è che quello che cerchiamo è la Bellezza – di un paesaggio, di un momento, di un passaggio. Nasce così un senso di appartenenza a ciò che hai attorno e di cui senti di fare parte, e questo ti fa danzare le cellule del corpo. E’ qualcosa che abbiamo tutti in dotazione, e quando ritrovi quel gusto, lo riconosci. Il fatto di vivere in un mondo sempre più virtuale, fa sorgere il bisogno di toccare la realtà per sentire se stessi.

giovedì 7 aprile 2016

Una vacanza (il Duca)

Vacanza, ho fatto una vacanza: una vacanza tra dolomiti e Austria.
In campeggio, sì, ma non solo. Qualche rifugio, qualche notte qua e là, una notte in macchina. Una notte coi vecchietti della Repubblica Ceca che suonavano i loro strani strumenti sotto al cielo stellato, sotto alla parete rossa della Tofana di Rozes.
E’ stata una vacanza rock and roll.
Una vacanza resa felice dal ritrovo dell’acqua, dopo ore di cammino. Acqua in abbondanza che sul fornellino si è trasformata in un risotto ai porcini… da schifo. Però che si ricorda con tanto amore e un sorriso.
Una vacanza internazionale; al tavolo con un tedesco e due polacche e un dialogo in inglese maccheronico, fatto più da rumori che da parole. Però il gesto della valanga si è capito bene.
Un viaggio: in parte in macchina, molto a piedi, ogni tanto a quattro zampe. Sulla cengia di Ball, sulla cresta del Civetta, sul ghiacciaio del Glossglokner. Una bellezza costante che si fa fatica a lavare via dagli occhi, che rimane ben impressa nel cuore e nella mente. Una bellezza grande che a ripensarla sembra incredibile e a ricordarla suscita un’immensa nostalgia.
Un viaggio col solito amico, sulla Studlgrat, quando la carezza della roccia canta una famigliarità confortante. Quando la corda scorre che è un piacere, sempre più in alto, fino alla cima imperiale dell’Austria.
Un viaggio con nuovi compagni, trovati per strada, che parlano dialetti sinceri (perché a fare il muratore l’italiano non te lo insegnano) e poi scoppiano di gioia nel rincontrarti sul nevaio finale del Pelmo. Oppure amici per caso, con cui condividere una cima e poi una birra, mentre lui torna a casa e tu parti per la prossima salita.
Sono tanti i momenti belli di questa strada percorsa, a scriverli emergono uno dietro l’altro, come rovistando in cantina riemergono tesori che sembravano perduti. Ripenso al panino sulla veranda prima dell’Antelao, risento quel profumo di bosco e il sapore dello speck, quasi l’avessi in bocca. Ripenso alle nubi bianche che salivano dalla valle, mentre sulle placche mi lasciavo alle spalle la vetta del Civetta, canticchiando una canzone. Ripenso a quando sono tornato al rifugio e giratomi ho riguardato la parete salita, con una soddisfazione infinita, dandomi del pazzo. Poi la mia chitarra che strimpella nel bosco e la mangiata colossale con Lallo al rifugio.
Ripenso alla pizza concessa al campeggio sul fiume, al sorprendente arrivo in macchina al passo di Staulanza. Alla corsa scappando dal temporale, lasciando alle spalle la lussuosa Cortina.
Dove finiranno tutti questi momenti? Dove sono andati a nascondersi? Spariranno come lacrime nella pioggia o rimarranno come traccia nostalgica? La speranza è che siano le pietre con cui edificare ogni giorno, come i chiodi appesi all’imbrago.

lunedì 21 marzo 2016

Sky Walkers (Claudio Pesenti)


Il film girato e montato da Claudio sulla nostra spedizione al Khan Tengri del 2014. Il film ha partecipato a diversi festival di settore riscuotendo un discreto successo.

sabato 12 marzo 2016

Tre pensieri (il Duca)


Ci sono tre recenti episodi che si intrecciano nella mia mente:
  • Febbraio 2016, tranquillo week end con la morosa e gli amici ad Alagna, tra birrette, chiacchiere e passeggiate nel bosco. Eppure regna sempre una sorta di inquietudine nel mio animo.
    Lo so cos'è: sono quelle cime lassù. Sono il pensiero per le montagne che non ho ancora scalato e le vie che non ho ancora percorso. Sono le montagne li attorno, che incombono su di me anche se non le vedo, che si avvolgono nel cielo azzurro che è sopra alla mia testa, che sono eterne mentre il tempo sembra correre. Improvvisamente mi sento come se non avessi fatto abbastanza, come se avessi potuto fare di più. Percepisco di non aver dato tutto quello che potevo dare. E' un pensiero costante.
    La sera al Bar delle Guide guardo con Saad una cartina della zona, del gruppo del Rosa. L'amico mi chiede quali cime abbia salito tra quelle presenti e io mi trovo a fare un elenco lunghissimo, tanto che ad un certo punto smetto per ordinare un'altra birra.
    Mi viene allora alla mente la domanda posta da un compagno di scalata a Wielicki, che appena sceso dal Cho Oyu voleva risalirlo da solo il giorno dopo per una via nuova: “Krystof, che cosa stai cercando lassù?”.
  • Marzo 2016, ho finalmente risolto una grossa rogna al lavoro. Soddisfatto mi faccio un giro in centro, torno a casa e cucino uno dei miei piatti preferiti. Mangio ascoltando buona musica, con dell'ottimo dolcetto e un paio di grappe, poi stanco me ne vado a letto.
    Alle 2:00, in piena notte, inizia a suonare la sveglia del vicino; è così potente che sembra trovarsi in casa mia. La sveglia continua a suonare, imperterrita, terribilmente costante. Suona, suona, va avanti senza fine. Quel fottuto coso strilla tenendomi sveglio e a quanto pare non c'è nessuno di là che possa fermarlo.
    Non c'è verso di riaddormentarmi!
    Per cercare di allontanare quel maledetto ronzio squillante, mi caccio le cuffie nelle orecchie e accendo la musica. Nel buio della stanza, con gli occhio chiusi, mentre mi avvolgo nel piumone, mi sembra di ritrovarmi a molti chilometri di distanza, più di un anno fa. Anche allora stavo sdraiato con la musica che dalle cuffie cercava di riempirmi la testa e condizionare i miei pensieri, mentre si attendeva la mattina: ero al Campo Base del Khan Tengri.
    E così in questa notte, in questo momento, penso con nostalgia a quelle infinite e odiose ore, quando non si può fare altro che attendere. Si attende nel fastidioso freddo, nella scomodità di una tenda da campeggio su un ghiacciaio a 4000m; si attende pensando a chi si sta godendo il sole sulle spiagge. Si attende di partire e lottare per il proprio sogno.
  • Oggi; i Guns and Roses suonano Paradise City, sul computer passano belle ragazze che ballano. Le immagini si mischiano a quelle di creste, cime, neve e ghiaccio: si sta preparando il prossimo grande sogno.
    Sarà un sogno fatto da fatica, solitudine e pericoli, come al solito. Sarà un sogno nell'invernale del rifugio, mangiando dal fornellino, un sogno che si arriva a casa distrutti e che nessuno conoscerà mai fino in fondo. Un sogno che ha bisogno delle giuste condizioni ed è già fatto da attese e dubbi, ma anche (chissà perché?) da questa musica e queste splendide ragazze.
    Sarà un sogno che non basterà mai, ma che è intensamente desiderato e varrà quel che chiederà. Sarà un sogno che dopo ne richiederà subito un altro. Questo è certo.
Perché ora scrivo tutte queste cose? Semplicemente perché mi passano per la testa: la ricerca non è ancora finita. E non si sta parlando solo di montagna e alpinismo.

martedì 2 febbraio 2016

La doppia, la fatica e la bellezza (il Duca)

Muovo gli ultimi passi sulla cornice della cengia e mi infilo delicatamente sotto al roccione di granito, recuperando la mia corda rossa.
Sono stanco morto. 
Con movimenti lenti ma continui striscio sul bordo superiore del camino, percorro la stretta fessura appoggiando le punte dei ramponi sulla roccia ruvida e mi attacco al chiodo. Sotto di me le placche precipitano verticali, mentre infilo la corda nell’anello e inizio a doppiarla.
Ormai ci sono, il cielo si è completamente annuvolato e io sono li. Attaccato alla roccia con la mano sinistra, mi dondolo nel vuoto e lancio la corda verso il basso: le spire rosse si srotolano nel camino di granito e neve fino a tendersi. Ora sono pronto a scendere.

Nella sala colloqui il genitore dell’alunno guarda preoccupato il preside, mentre il ragazzo si tiene la testa con la mano sinistra. I suoi occhi sono velati, quasi che quello che viene detto non lo riguardi.
Io vorrei direi qualcosa, ma non mi esce niente, niente che non sembri già ripetuto mille volte. Nessun ragionamento che non abbia già fatto con quel ragazzo per convincerlo che sta buttando via la sua vita. L’unica cosa che mi viene in mente è quella doppia di ritorno dal Ligoncio. 
Ripercorro con la mente quello che è successo prima: la notte al bivacco, nel buio gelido di fine autunno. I passi nella neve fonda sulla spalla superiore, prima dell’ultima parete, quando mi sono accasciato sulla piccozza con le gambe spompe. E poi l’ultimo passo di rampone, il passo con cui mi sono finalmente affacciato al di sopra della cornice terminale e ho scorto la croce, la cima.

Non so che cosa c’entri tutto questo con lo studente e il colloquio. Però vorrei che quel ragazzo potesse provare per un istante quello che io ho provato nell'attimo del lancio della corda, quando ci si appresta a scendere dalla parete con la tua montagna in tasca. Quando si prende coscienza che quella bellezza immensamente grande con fatica è diventata tua. Non di tua proprietà, ma tua, consapevolmente tua. Come tua mamma è tua mamma.
Quello studente probabilmente non diventerà mai un alpinista, né gli auguro di diventarlo. Ma come insegnante mi accontenterei di potergli trasmettere quella sensazione muta, quella nostalgia profonda per una bellezza assoluta a cui appartenere.
La fatica dell’alpinista altro non è che la faticosa conquista di questa consapevolezza.

martedì 26 gennaio 2016

Ladakh Expedition 2015


lunedì 18 gennaio 2016

High Hopes (Bruce Springsteen)



Monday morning runs to Sunday night
A scream slow me down before the new year dies
Well it won't take much to kill a loving smile
And every mother with a baby crying in her arms, singing
Give me help, give me strength
Give a soul a night of fearless sleep
Give me love, give me peace
Don't you know these days you pay for everything
Got high hopes
I got high hopes
Got high hopes
I got high hopes

Coming from the city, coming from the wild
I see a breathless army breaking like a cloud
They're gonna smother love, they're gonna shoot your hopes
Before the meek inherit they'll learn to hate themselves
Give me help, give me strength
Give a soul a night of fearless sleep
Give me love, give me peace
Don't you know these days you pay for everything
Got high hopes
I got high hopes
I got high hopes
I got high hopes

Give me help, give me strength
Give a soul a night of fearless sleep
Give me love, give me peace
Don't you know these days you pay for everything
Got high hopes
Got high hopes
I got high hopes
Got high hopes

Tell me someone now, what's the price
I wanna buy some time and maybe live my life
I wanna have a wife, I wanna have some kids
I wanna look in their eyes and know they'll stand a chance

Give me help, give me strength
Give a soul a night of fearless sleep
Give me love, give me peace
Don't you know these days you pay for everything
Got high hopes
Got high hopes
I got high hopes
Got high hopes

Got high hopes
I got high hopes
I got high hopes
I got high hopes

venerdì 8 gennaio 2016

Ricordando il 2015