E’ strano ripensare a come fosse notte. Tornando con
la memoria a quel momento ricordo la luce. E non quella fioca della frontale
che illuminava i miei passi, ma quella potente della luna che nel cielo
brillava come un faro d’argento.
Quei momenti rimangono profondi nel mio cuore,
carichi di una commozione enorme che diventa impossibile riportare in parole. Ricordo
quando, alzando lo sguardo dalla cresta nevosa, ho scorto la cornice sommitale
della mia cima. Compiuti gli ultimi passi, finalmente ho raggiunto le
bandierine della vetta, le quali, a differenza che nelle foto visionate cento
volte, erano quasi totalmente sepolte dalla neve.
Ho stretto la mano a Stanzin, poi ci siamo
abbracciati. Lui esultava come un matto e quando gli ho detto che erano solo le
4:50 ha iniziato a ringraziare gli dei, gridando al record. Ma ciò che lo rendeva
ancora più orgoglioso era il fatto che da una settimana nessuno era ancora
riuscito a raggiungere la cima, nonostante i numerosi tentativi delle molte
spedizioni.
Mentre lui faceva foto e urlava festoso, io mi sono
raccolto in me stesso. Il cielo nero veniva continuamente rigato dalle stelle
cadenti, mentre le montagne del Ladakh si stendevano attorno a me. Una
grandissima gioia mi ha colto, costringendomi a guardarmi indietro:
“Che ci faccio qui, in mezzo all’Asia, sulla cima di
una montagna di oltre 6000 metri? Come ci sono arrivato?”
Così ho ripensato a tutte le difficoltà e le
incertezze dei giorni precedenti: la pioggia che continuava a cadere ed io
incazzato, affacciato alla finestra a Leh. I fiumi gonfi e i cavalli che non
riuscivano a passare. Le voci che raccontavano di quantità spaventose di neve.
Ho ripensato a tutta l’organizzazione, a come era
stata brava la Cinzia a mettere giù tutto bene, dandomi la possibilità di
arrivare in vetta. Ho ripensato agli allenamenti, alle spese, al lungo viaggio.
Ma il viaggio non era partito da così vicino, tutto
aveva preso piede molto più in là.
Mi è allora venuta in mente la prima volta che ho
fatto la Grignetta, quando avevo 4 anni, con mio papà. Poi le cime più alte, il
primo ghiacciaio a 11 anni per arrivare in cima all’Adamello. Ho ripensato alle
scorazzate con Ciccio e poi con Lucia, alle scalate solitarie, a quelle con
Mario, Lallo, Prina, Ale. Alla spedizione in Kazakhistan con Claudio e a quella sul Rwenzori con la banda del Gus.
Ho ricordato le mie valli, la val di Rhemes, la valle
del Tonolini. La conca dei Giganti, con le grandi cime orobiche che si
specchiano nel lago di Coca.
Ho ringraziato; perché l’uomo può metterci la buona
volontà, ma poi ci si rende conto che certe cose non ce le si guadagna da soli,
in nessun modo.
Ero commosso su quella cima, proprio così. Con questa
consapevolezza ben impressa nel cuore; mentre con lo zaino incrostato di
ghiaccio osservavo l’alba spaccare l’orizzonte, con l’Himalaya e il mio sogno
tutto attorno a me.
2 commenti:
Bravo Stefano, leggendo le tue parole quì dalle isole Gili, sperduto nell oceano indiano, ancora una volta, susciti in me invidia e ammirazione. Le tue piccole grandi imprese fanno di te un grande alpinista oltre che un amico e fidato compagno di cordata.
Complimenti perchè le tue spedizioni, anche se ai più possono sembrare inconcepibili e su montagne sconosciute, ai miei occhi paiono imprese grandiose e dal sapore dolcemente esplorativo.
Chissà se un giorno riusciremo a scalare qualche grande montagna insieme in giro per il mondo...L Aconcagua magari, il mt. Kenya o il Piz Lenin; tutti sogni per ora, ma che tu dai davvero la possibilità di far vedere che si possono avverare...
A presto, per il più "modesto" Pizzo Badile.
Grazie Mario!
Il Badile è più modesto solo per altezza, sarà una scalata grandiosa su una montagna bellissima.
Per il resto: mai smettere di sognare!
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