lunedì 17 novembre 2014

Diario Spedizione 2014 (il Duca) - VETTA


Campo Base, 04/08/2014 - giorni 9; 10; 11; 12

Siamo tornati al Campo Base con in tasca la cima del Chapaeva.
Partiti il 1 agosto siamo saliti in una bella giornata a Campo1 dove abbiamo bivaccato. Nella notte ha nevicato parecchio, ma è passata tranquilla.


Il giorno dopo, smontata la tenda, siamo saliti a Campo2 con gli zaini pesantissimi. Nonostante il notevole carico sono salito molto meglio della prima volta: mi sentivo bene, forte e tutti i dubbi e i timori dei giorni precedenti sembravano svaniti davanti alla scalata della montagna. Bellezza.
Arrivati a Campo2, abbiamo potuto godere di questo posto in modo molto diverso da qualche giorno prima. Il sole infatti scaldava la cupola nevosa dove è posto il campo: le montagne tutte attorno si stendevano maestose come signore al teatro, mentre l'impressionante serpente del lungo ghiacciaio scorreva minaccioso ai piedi della montagna.
Nella conca tra il Campo2 e la cresta Chapaeva-Khan Tengri, abbiamo notato, come una carcassa a pancia in su, un elicottero militare precipitato*.
Scavata la piazzola e montata la nostra piccola tendina, ci siamo messi a sciogliere neve e a cucinare tea e zuppa, poi a nanna. La notte siamo stati investiti da una tremenda tempesta di vento che sembrava strappare la nostra tenda dalla neve a cui era ancorata; fortunatamente la tenda ha retto bene!





























La mattina del 3 agosto esco dalla tenda ansioso di partire per la cima. Ho dormito bene, nonostante l'altezza (5500m) e la bufera. Fa freddo e il tempo non è bellissimo, il cielo è nuvoloso.
Mi metto a sciogliere neve per fare il tea e sveglio Claudio, che però non è riuscito a riposare. Il mio compagno di cordata mi dice che preferisce cercare di dormire un po'e mi lascia libertà di organizzarmi come credo. Per me non si può rimandare la scalata, quindi continuo coi preparativi.
Preparo il tea per me e per Claudio e continuo a sciogliere neve per le borracce di entrambi. Per fortuna Claudio nel frattempo riesce a riprendersi e decide di partire con me. Sistemati gli zaini andiamo.
Io parto carichissimo, con la voglia di scalare, di salire, di godermi la montagna. Salito il primo pendio che costeggia un enorme crepaccio con denti di ghiaccio, giungo in cresta.
Percorro la stretta crestina di neve fino ad un colletto dove inizio a risalire la costa sempre più pendente. Arrivato alla fine delle neve, raggiungo l'attacco della fascia di misto, dove partono le rocce.





Un polacco sta già salendo e fa partire un sasso, poi un'altra scarica e una pietra mi colpisce sul naso. Gli grido dietro! Quindi inizio a salire per la placca rocciosa e verticale.
L'arrampicata è molto fisica; superato un primo salto, giungo ad una sosta e prendo a salire per un ripido pendio di misto, neve e pietrisco.
Il polacco, appeso in sosta, mi lascia passare, ci salutiamo cortesemente.
Giungo ad una lingua di neve che seguo sempre più ripida, fino a passare in un colatoio di ghiaccio vivo dove la via piega a destra. Qui trovo del bellissimo misto, poi ancora roccia ed eccomi sull'ultima cupola di neve.





Ora salgo faticosamente, affondando nella neve fresca. Mi fermo per il collegamento radio, poi traccio gli ultimi passi verso la cima. Un ultimo pendio ed eccomi sulla vetta del Chapaeva (6150m)!
La prima cosa che faccio è tirare fuori dalla tasca il piccolo rosario che mi ha dato mio padre da lasciare in cima e che mi ha accompagnato per tutta la spedizione. Ci faccio una foto insieme, poi mi siedo sullo zaino, proprio sulla vetta: sto alla grande!
Un'ora dopo, insieme alla cordata di austriaci, arriva anche Claudio a cui stringo la mano. Attorno a noi è tutto nuvoloso, solo a tratti escono nel loro splendore il Khan Tengri e le creste nevose.
Quando decidiamo di scendere lego all'ultima sosta (un metro sotto alla cima) il rosario di mio padre da lasciare lì.


Iniziando la lunga serie di doppie ci tuffiamo nelle nubi che diventano sempre più fitte. Quando arrivo a Campo2 sta nevicando intensamente.
Mi butto nella tenda sistemandomi al meglio e attendo il mio compagno di cordata. 
Claudio ritarda e inizio a preoccuparmi, non vorrei fosse successo qualcosa al tendine. Finalmente invece lo vedo arrivare, pieno di neve e affondando fino a mezza coscia.
Da allora fino alla mattina dopo non usciremo più dalla tenda, se non per bisogni fisiologici e per spalare la neve che rischia di seppellire la tenda. Mangiucchiamo solo qualcosa e ci addormentiamo.
In realtà per me la notte passa malissimo, è infinita, mentre il nostro fiato si congela ricadendoci continuamente addosso sotto forma di goccioline ghiacciate.


La mattina del 4 agosto, appena sento che non nevica più e non tira più vento forte, esco fuori dalla tenda. Rimango lì, in mezzo al piccolo campo, immerso nella coltre bianca con le montagne attorno.
Fatto il solito tea e smontata la tenda, con i soliti enormi zaini scendiamo fino al Campo Base sotto una continua e fitta nevicata che riempie di neve ogni passaggio.



* Abbiamo poi scoperto che questo era uno dei due elicotteri che faceva la spola tra Karkara e il Campo Base. Il velivolo era precipitato due giorni prima del nostro arrivo in Kazakistan: era questo il motivo dell'irregolarità dei voli.

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