venerdì 28 novembre 2014

Diario Spedizione 2014 (il Duca) - RITORNO


Karkara, 05/08/2014 - giorno 13

Rieccomi a Karkara (versante Kirghizistan).
Ieri, dopo una serie di voci, richieste e incomprensioni, abbiamo saputo che stamattina sarebbe partito un elicottero e avrebbe avuto posto anche per noi.
Alle 5.00, essendo già sveglio, sono uscito dalla nostra tenda e sono rimasto nel silenzio della neve fresca, ammirando le montagne. La giornata era bella, senza vento.
Verso le 7.00 il capo del Campo Base ci fa cenno di preparare i nostri bagagli e di portare tutto sul ghiacciaio perché l’elicottero sta arrivando. Poco dopo infatti il velivolo ci rapisce senza darci neppure il tempo di salutare la nostra montagna.
Ora siamo qui, nella bellissima zona kirghiza della valle di Karkara, nell’attesa del pulmino che ci poterà direttamente ad Almaty. Non siamo infatti riusciti ad ottenere di rimanere qualche giorno qui a Karkara in attesa di anticipare il nostro volo per l’Italia. Stasera saremo in hotel ad Almaty e speriamo di poter spostare il volo il prima possibile.
Dall'elicottero è stato impressionante vedere l’immenso numero di montagne senza nome che costituiscono questa catena.


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Almaty, 06/08/2014 - giorno 14

Svegliarmi stamattina in un letto è stato qualcosa di incredibile, è come essere rinati. Per non parlare della ricca colazione, con musica classica di sottofondo, mille posate e sala elegante.
Siamo all’hotel Astra di Almaty dove siamo arrivati ieri sera con il gruppo di rumeni, i due lituani e due russi.
Il lungo viaggio, prima su un vecchio camion militare, poi su un comodo pulmino, è passato piacevolmente. Anche i tempi infiniti per il passaggio della frontiera, coi soliti riti burocratici, sono passati lisci. 
Tenendomi in contatto con la Cinzia, lei e suo papà sono riusciti a spostarci il volo l’8 agosto.
Stamattina ho fatto con Claudio un giro per la città: Almaty è un posto un po’ scoppiato, ma ci ha sorpresi con dei parchi molto vivi, pieni di gente e giostre. E’ poi molto bella la cattedrale ortodossa.
Ora tanto relax in hotel e poi cena fuori.



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Almaty, 07/08/2014 - giorno 15

Ci sono situazioni in cui ci si dimentica dove si è e rimane solo la bellezza. Ieri sera la cena è stata così: seduti su un gradino a mangiare hamburger, mentre in mezzo alla strada due ragazze, con violino e violoncello, suonavano pezzi di musica classica. Intorno la gente in silenzio.
Oggi giornata di riposo totale, solo un giro in centro per comprare qualche regalo. 
Siamo finalmente riusciti a stampare i nuovi biglietti dell'aereo, domattina quelli dell'agenzia ci verranno a prendere alle 2.30 per portarci all'aeroporto. Siamo pronti.




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Zelo B.P. 08/08/2014 - giorno 16

Pensavamo oggi sarebbe stata una giornata tranquilla. 
Stamattina alle 2.30 è passato a prenderci lo stesso personaggio che ci aveva portati a Karkara la prima volta. Il nostro aereo doveva partire alle 5.30 e come previsto alle 3.00 eravamo in aeroporto. Con sorpresa abbiamo però trovato che l'aereo era in ritardo e sarebbe partito alle 9.10. Questo voleva dire perdere la coincidenza a Istanbul, cosa che ci ha fatto abbastanza incazzare!
Fortunatamente arrivati in Turchia abbiamo scoperto che anche il nostro volo per Milano era stato ritardato di un paio d'ore, siamo quindi riusciti a prenderlo per un pelo.
Ora sono a casa mia a Zelo. Mi rimangono le foto da far vedere ad amici e parenti e il ricordo di un posto che rimane lontano, ma ben impresso nell'anima.
C'è chi si complimenta per l'avventura e la salita del Chapaeva e chi è rimasto deluso per la mancata conquista del Khan Tengri. E' difficile dire quel che è stato, di certo è stata una gran bella scalata, che le parole potranno al massimo cercare di spiegare.


lunedì 17 novembre 2014

Diario Spedizione 2014 (il Duca) - VETTA


Campo Base, 04/08/2014 - giorni 9; 10; 11; 12

Siamo tornati al Campo Base con in tasca la cima del Chapaeva.
Partiti il 1 agosto siamo saliti in una bella giornata a Campo1 dove abbiamo bivaccato. Nella notte ha nevicato parecchio, ma è passata tranquilla.


Il giorno dopo, smontata la tenda, siamo saliti a Campo2 con gli zaini pesantissimi. Nonostante il notevole carico sono salito molto meglio della prima volta: mi sentivo bene, forte e tutti i dubbi e i timori dei giorni precedenti sembravano svaniti davanti alla scalata della montagna. Bellezza.
Arrivati a Campo2, abbiamo potuto godere di questo posto in modo molto diverso da qualche giorno prima. Il sole infatti scaldava la cupola nevosa dove è posto il campo: le montagne tutte attorno si stendevano maestose come signore al teatro, mentre l'impressionante serpente del lungo ghiacciaio scorreva minaccioso ai piedi della montagna.
Nella conca tra il Campo2 e la cresta Chapaeva-Khan Tengri, abbiamo notato, come una carcassa a pancia in su, un elicottero militare precipitato*.
Scavata la piazzola e montata la nostra piccola tendina, ci siamo messi a sciogliere neve e a cucinare tea e zuppa, poi a nanna. La notte siamo stati investiti da una tremenda tempesta di vento che sembrava strappare la nostra tenda dalla neve a cui era ancorata; fortunatamente la tenda ha retto bene!





























La mattina del 3 agosto esco dalla tenda ansioso di partire per la cima. Ho dormito bene, nonostante l'altezza (5500m) e la bufera. Fa freddo e il tempo non è bellissimo, il cielo è nuvoloso.
Mi metto a sciogliere neve per fare il tea e sveglio Claudio, che però non è riuscito a riposare. Il mio compagno di cordata mi dice che preferisce cercare di dormire un po'e mi lascia libertà di organizzarmi come credo. Per me non si può rimandare la scalata, quindi continuo coi preparativi.
Preparo il tea per me e per Claudio e continuo a sciogliere neve per le borracce di entrambi. Per fortuna Claudio nel frattempo riesce a riprendersi e decide di partire con me. Sistemati gli zaini andiamo.
Io parto carichissimo, con la voglia di scalare, di salire, di godermi la montagna. Salito il primo pendio che costeggia un enorme crepaccio con denti di ghiaccio, giungo in cresta.
Percorro la stretta crestina di neve fino ad un colletto dove inizio a risalire la costa sempre più pendente. Arrivato alla fine delle neve, raggiungo l'attacco della fascia di misto, dove partono le rocce.





Un polacco sta già salendo e fa partire un sasso, poi un'altra scarica e una pietra mi colpisce sul naso. Gli grido dietro! Quindi inizio a salire per la placca rocciosa e verticale.
L'arrampicata è molto fisica; superato un primo salto, giungo ad una sosta e prendo a salire per un ripido pendio di misto, neve e pietrisco.
Il polacco, appeso in sosta, mi lascia passare, ci salutiamo cortesemente.
Giungo ad una lingua di neve che seguo sempre più ripida, fino a passare in un colatoio di ghiaccio vivo dove la via piega a destra. Qui trovo del bellissimo misto, poi ancora roccia ed eccomi sull'ultima cupola di neve.





Ora salgo faticosamente, affondando nella neve fresca. Mi fermo per il collegamento radio, poi traccio gli ultimi passi verso la cima. Un ultimo pendio ed eccomi sulla vetta del Chapaeva (6150m)!
La prima cosa che faccio è tirare fuori dalla tasca il piccolo rosario che mi ha dato mio padre da lasciare in cima e che mi ha accompagnato per tutta la spedizione. Ci faccio una foto insieme, poi mi siedo sullo zaino, proprio sulla vetta: sto alla grande!
Un'ora dopo, insieme alla cordata di austriaci, arriva anche Claudio a cui stringo la mano. Attorno a noi è tutto nuvoloso, solo a tratti escono nel loro splendore il Khan Tengri e le creste nevose.
Quando decidiamo di scendere lego all'ultima sosta (un metro sotto alla cima) il rosario di mio padre da lasciare lì.


Iniziando la lunga serie di doppie ci tuffiamo nelle nubi che diventano sempre più fitte. Quando arrivo a Campo2 sta nevicando intensamente.
Mi butto nella tenda sistemandomi al meglio e attendo il mio compagno di cordata. 
Claudio ritarda e inizio a preoccuparmi, non vorrei fosse successo qualcosa al tendine. Finalmente invece lo vedo arrivare, pieno di neve e affondando fino a mezza coscia.
Da allora fino alla mattina dopo non usciremo più dalla tenda, se non per bisogni fisiologici e per spalare la neve che rischia di seppellire la tenda. Mangiucchiamo solo qualcosa e ci addormentiamo.
In realtà per me la notte passa malissimo, è infinita, mentre il nostro fiato si congela ricadendoci continuamente addosso sotto forma di goccioline ghiacciate.


La mattina del 4 agosto, appena sento che non nevica più e non tira più vento forte, esco fuori dalla tenda. Rimango lì, in mezzo al piccolo campo, immerso nella coltre bianca con le montagne attorno.
Fatto il solito tea e smontata la tenda, con i soliti enormi zaini scendiamo fino al Campo Base sotto una continua e fitta nevicata che riempie di neve ogni passaggio.



* Abbiamo poi scoperto che questo era uno dei due elicotteri che faceva la spola tra Karkara e il Campo Base. Il velivolo era precipitato due giorni prima del nostro arrivo in Kazakistan: era questo il motivo dell'irregolarità dei voli.

martedì 11 novembre 2014

Diario Spedizione 2014 (il Duca) - BASE


Campo Base, 31/07/2014 - giorno 8

Oggi giornata di riposo al Campo Base imbiancato dalla nevicata della notte. Il tempo come al solito è ballerino: ora c’è il sole, un attimo fa eravamo immersi nelle nubi. Si pensa e ci si rilassa ognuno per conto suo, io ne approfitto per raccontare cose finora non accennate in questo diario:

- Il capo del Campo Base, mr Mouhan, è una specie di uomo di Neanderthal che urla, sbraita e batte il bastone. Ma poi sa anche commuoversi facendo grandi discorsi sulla montagna e il suo lavoro.

- Oltre al capo, il personale del Campo Base è composto da: una giovanissima dottoressa (che però da qualche giorno è sparita, dopo una furiosa discussione col capo); un’interprete di origine russa (l’unica che sa l’inglese); una guida responsabile del soccorso (la cui faccia da alcolizzato è tutta una garanzia); la moglie della guida (che è anche l’amica di tanti altri); Sasha (che è un ragazzo ed è il bersaglio preferito dell’ira di Mouhan) e un giovane cuoco gobbo.

- Durante la scalata della montagna abbiamo una radio con cui connetterci col Campo Base a degli orari prestabiliti: 9.00, 12.00, 15.00, 18.00, 20.00.
Il problema sorge quando ci si trova in situazioni precarie, in parete, appesi, e bisogna a tutti i costi connettersi puntuali, altrimenti si viene sgridati.

- Oltre a noi, si appoggia al nostro campo base una cordata di rumeni con cui abbiamo fatto amicizia. Sono gente simpatica, anche se appaiono soprattutto come una brigata di cazzoni in vacanza. C’è poi un’International Team e una cordata di quattro austriaci con guida e portatore kazaki.

- Il primo giorno che siamo saliti a Campo1 abbiamo incrociato il grande Wielichi in ritirata da Campo3 per il brutto tempo. Ieri invece abbiamo incontrato uno dei polacchi che hanno tentato quest’inverno il Nanga Parbat.

- Altro personaggio con cui condividiamo il Campo Base è Sugis (da noi detto Sugo), che è il lituano che ha viaggiato con noi fin dal aeroporto. E’ qui solo con un altro connazionale, perché gli altri suoi amici sono rientrati in patria il giorno stesso in cui lui è arrivato. Sale e scende dai campi con la tranquillità di un nonno al parco e a vederlo non gli si darebbe un soldo. Il suo amico è invece il don Giovanni del Campo Base, sta nel tendone a bere tea e a divertirsi con la moglie della guida.

- Il tendone mensa, centro della vita del Campo Base, è un vecchio tendone militale pieno di buchi: se piove entra l’acqua, se nevica entra la neve e se c’è vento… entra il vento. In compenso brulica di topolini.

- A colazione ci rifilano sempre una zuppa di cereali lattiginosa, i kazaki la riempiono di zucchero: da oggi noi abbiamo iniziato a rifiutarla, fa davvero schifo!

L'elicottero militare che connette Karkara col Campo Base da un po' di giorni non si fa vedere. In teoria dovrebbe arrivare ogni tre o quattro giorni, ma non è così. Il personale del campo base non sa dirci nulla di più, se non azzardare date a caso. Noi, come le altre spedizioni, iniziamo a temere di perdere il volo aereo di ritorno, non potendo contare su date certe per rientrare a Karkara.