venerdì 27 aprile 2018

Costruire un Sogno (il Duca)


Domenica mattina: sulla mia scrivania c'è il portatile aperto, attorno: foto, appunti, fogli e quaderni. Allungo lo sguardo soddisfatto, vorrei che quell'istante di pura e dolce illusione durasse in eterno.
A pranzo siamo attorno al tavolo, si chiacchiera mangiando formaggio e salame, accompagnati da vino e sidro di mele. Guardo i volti dei miei amici, uno ad uno. Ognuno ha le proprie storie scritte sulla pelle, ognuno è lì con la propria vita quotidiana incastrata fra le dita e l'insopprimibile capacità di sognare.
Sento che c'è qualcosa di speciale, una certa gratitudine mi inonda il cuore. Saremo capaci di coordinare i nostri sogni? Di seguire insieme quella vocazione che ci ha fatto accumulare esperienze? Quelle esperienze che troppo spesso diamo per scontate, ma che hanno qualcosa di straordinario, che ci hanno resi ciò che siamo.
Guardiamo insieme il piano per un sogno: si parla di giorni, di hotel, auto a noleggio, bivacchi. Si discute di aerei, si prendono appunti, si tratta di corde, mappe, permessi, piccozze.
Osservo ancora il volto dei miei amici, uno ad uno. Ci siamo divisi i compiti, la sensazione è quella di chi si sta avvicinando alla parete, la osserva sapendo che c'è ancora da faticare, ma già la sente vicina, ne percepisce lo spirito potente.
La scalata di un sogno a volte parte da lontanissimo, e oggi, nella bassa milanese avvolta dal brutto tempo, già ci stiamo avvicinando ad una montagna aguzza nel cuore del Canada. Il sogno è ancora fragile, bisognerà incaponirsi e non perdere la rotta per non lasciare che si infranga.
In alpinismo c'è un vantaggio fondamentale: l'irresistibile richiamo della meta. In questo richiamo si costruisce tutto, un pezzo per volta. E ora si tratta di seguirne ogni pezzo, uno ad uno, assaporandone ogni parte.

mercoledì 18 aprile 2018

La forza di un'attesa (il Duca)

Lei è la parete Fasana, enorme, selvaggia, sconosciuta.
S'innalza dal versante più nascosto delle Grigne e severa si affaccia sulla curva più a nord della Val Sassina, gettando la propria ombra su di un paesino dal nome affascinante: Primaluna.
Proprio da qui l'ho osservata la prima volta, prendendo un caffè ad un bar semivuoto, la mattina presto, attraverso una vetrata con la scritta blu. Proprio da qui ne sono stato rapito.
Come tante volte succede l'idea è arrivata da Ale. Gliene aveva parlato direttamente il Festorazzi durante una tappa al Brioschi, con quel bicchiere di rosso che sa sempre mescolarsi al sapore di nuovi sogni.
Si tratta della via Volpe Bianca, aperta nel 2008 quasi in segreto e poi fatta sparire da ogni documentazione, come fosse un mistero da custodire gelosamente.
Sono passati dieci anni, dieci anni in cui se ne è parlato spesso. Lei era lì, ma noi non eravamo pronti, o forse lei non era ancora disposta a lasciarci avvicinare.
La parete attacca bassa e poi si alza fino ai 2248m del Pizzo della Pieve, lasciando sempre dubbi sulle sue giuste condizioni. E' capace di mostrarsi imbiancata e gonfia di neve, con le valanghe che le tuonano mastodontiche lungo i fianchi; ma pochi giorni dopo puoi già trovarla spoglia e grigia, vera roccaforte di puro calcare.
La sua roccia è ruvida come la dolomia vergine, ma allo stesso tempo è fragile e insidiosa. Il suo ghiaccio è spaccoso, la sua neve soffice, gli infiniti canali e speroni la sorreggono come la colossale facciata di una cattedrale gotica, annerita dagli anni. Lei è bellissima e sublime.
Fa impressione, dopo tanti anni che se ne parla, partire davvero per realizzare un sogno, per scalare quella via. Improvvisamente ci si rende conto che lei è veramente lì, se ne riconosce il profilo osservato per anni in foto, se ne sente il profumo che si ha solo provato ad immaginare.
E a guardarla sbucare oltre le onde della neve, quella parete ci ha cacciato un brivido gelido su per la schiena. Il vento soffiava tagliente sulle nostre facce, mentre immobili stavamo a guardare quelle pieghe che da immaginazione diventavano reali.
E reale era il ghiaccio su cui picchiavano le nostre piccozze, la neve dove affondavamo con fatica; la roccia incrostata su cui cercavamo una soluzione, con la corda che scorreva nel moschettone del frend. La bellezza di sbucare sulla cresta sommitale, dove la neve danzava cullata dall'aria della cima, con le nubi bianche che impazzavano sul filo di cornici.
La gioia di quella bellezza è qualcosa di misterioso e commuovente. Con ai piedi la grande parete, con nel cuore l'attesa che si schiude, come un fiore paziente che finalmente può aprirsi sprigionando quello che ha coltivato per tanto tempo. La forza di un'attesa che si illumina vestita di pura felicità.