Prendo la macchina in questa giornata uggiosa, faccio un giro a Milano e torno indietro. Alla radio c'è poco, passo al CD; parte una canzone di Zucchero Fornaciari. Finisce il brano e inizia quello successivo: “ho un diavolo in me...” Basta questo per riaprirmi un mondo.
So bene quando ho comprato questo disco, so benissimo che cosa richiama questa canzone: la discesa dal Diavolo di Tenda dopo aver scalato la Cresta Baroni in inverno. Un febbraio freddissimo e carico di neve.
La sera precedente con Ale ero salito al Rifugio Calvi e avevamo bivaccato nel locale invernale. Quattro chiacchiere, una cena frugale e un paio di sorsi di grappa. La mattina ci eravamo svegliati che era ancora buio pesto ed eravamo partiti risalendo il vallone alla luce delle nostre frontali. La neve era marmorea, tanto che i nostri sci e le nostre ciaspole risultavano praticamente inutili.
All'alba si stagliava davanti a noi l'elegante profilo dello sperone sud del Diavolo, dove passa la nostra via. Il vento gelido che accompagna i primi chiarori spostava polvere di neve, facendola scivolare sullo strato ghiacciato.
Ci avvicinammo sempre più al colosso, con pochi pensieri in testa ma tanta bellezza addosso, fino a raggiungere la sua propaggine più bassa.
Individuato il canale di attacco, ci legammo, scambiammo due battute e iniziammo a salire.
Le condizioni erano assolutamente invernali, ma la montagna era in buono stato. La neve era dura e sui tratti più verticali c'era un ottimo misto che ci permise di salire in sicurezza: roccia tutto sommato asciutta e ghiaccio ben ramponabile.
Fu una salita esaltante, bellissima, a lungo sognata. La verticalità cresceva sotto di noi, noi seguivamo il filo del nostro sperone riuscendo a proteggere bene con cordini e friend.
Alla fine, quando il pendio si piega lasciando spazio alla cresta sommitale, ci sorprendemmo non vedendo la croce di vetta. Poco dopo constatammo che la croce non c'era perché era completamente sommersa dalla neve, ne uscivano solo pochi centimetri.
In vetta eravamo euforici e da qui, per tutta la discesa, iniziammo in automatico il nostro canticchiare: “ho un diavolo in me, ho un diavolo in me...”. Non ricordavamo tutta la canzone, mancavano pezzi di strofe, ma avevamo voglia di sentirla, di cantarla.
Il giorno dopo uscito dal lavoro andai in libreria e comprai subito il CD.
Ma prima di questo c'è stato un altro Diavolo in invernale, questa volta con Mario, la prima volta in assoluto che ho salito questa montagna. Ora un ricordo tira l'altro.
Era sempre febbraio, faceva sempre un freddo boia e c'era tanta neve, ma in quell'occasione il rifugio era aperto.
Il gestore ci aveva esortati un po' rudemente ad arrivare ad un buon orario, 19/19.30. Considerato che io lavoravo anche di sabato, eravamo praticamente saliti di corsa da Carona al Calvi per non fare tardi, partendo già al buio.
Arrivammo pensando di essere gli ultimi per la cena e invece entrati scoprimmo di essere gli unici clienti: all'interno c'era solo il rifugista e sua moglie. Messi a tavola, ci servirono talmente tanto da mangiare, insistendo anche per il bis e per il tris, che alla fine avevamo dubitato di riuscire ad alzarci il giorno successivo.
Per spiegarci poi la via da seguire, il rifugista ci aveva mostrato la linea su di una cartolina che ci ha lasciato e che io conservo come fosse una reliquia di Marco Polo.
Il giorno dopo fu una gran bella salita, caratterizzata da un vento tremendo che rese la giornata gelida e limpidissima. Senza seguire la cresta della normale, decidemmo di raggiungere la vetta tirando su per la verticale lungo la parete ovest, una scalata con picca e ramponi non difficile ma esaltante.
Il terzo ricordo del Diavolo è sempre con Mario, ma questa volta in autunno, a Novembre e compiendo la traversata dei due Diavoli.
Anche qui serata al rifugio, poi partenza la mattina all'alba, coi colori della stagione che infiammavano tutta la valle. Una cavalcata davvero stupenda, fatta in conserva protetta cercando di mantenere sempre il filo della cresta, alla ricerca di passaggi un po' più pepati e di roccia solida.
Scalata del Diavolino, poi giù per roccette vetrate di ghiaccio, quindi risalita verso la parte finale del Diavolo di Tenda.
Un'altra giornata limpidissima, bella, in amicizia, nel regno di una grande montagna orobica.
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