giovedì 31 ottobre 2019

Eiger (il Duca)

Mi sembra di essere in un film, in una cartolina guardata mille volte, mentre il treno faticosamente sale lento verso l'alto. Provo ad immaginare cosa pensassero Heckmair, Aste, Ueli Steck e tanti altri salendo lungo questi binari, con i prati verdi da una parte e le nubi che avvolgono il mostro dall'altra.
Lallo è seduto davanti a me con il suo zaino e lo sguardo oltre il vetro del finestrino. Io non riesco a stare fermo, dopo anni di attesa sono davvero su questo treno e voglio cercare di raccogliere il più possibile, ogni minima sensazione.
Mi allungo a guardare per l'ennesima volta fuori: le nubi si alzano veloci, la parete si mostra pezzo dopo pezzo, eccola! Gigantesca, più di quanto si possa immaginare, imponente, così carica di mito che il cuore ti balza in gola e non puoi fare altro che incollarle gli occhi addosso.
Il treno sale, entra nella montagna e poi si ferma dove tutti scendono. La maggior parte si butta verso le enormi vetrate ad ammirare l'Oberland, i suoi ghiacciai e le sue montagne, dal suo osservatorio più famoso. Noi soli stiamo in disparte ad attendere.
Il capo treno chiama, tutti sciabattando tornano sulle vetture, poi, preceduto dallo stridore della cremagliera e dal cigolio del treno che riparte, cala il silenzio assoluto. Ora siamo da soli, come complottisti nella stazioncina del treno. Vaghiamo un po' per le gallerie nella pancia dell'Orco, spalanchiamo una porta di legno e procediamo al buoi, a tentoni. Una seconda porta e la luce accecante del mondo esterno ci colpisce.
Mi sembra ancora di essere in un film, di essere in quella cartolina guardata mille volte. Ma ora la roccia del grande protagonista è davvero sotto ai miei scarponi e le mie dita ci scorrono davvero sopra, toccandone la ruvida essenza. Facciamo una prima calata oltre il grande crepaccio terminale, siamo intorbiditi dal trovarci avvolti da questo alone mitico. Una tremenda scarica di sassi fischia a qualche metro da noi, è questa la nostra terribile sveglia... ora lo sappiamo: l'Eiger è reale più che mai!

La sera al rifugio cerco di rilassarmi, ne ho una gran voglia e aspettavo questo momento; ma è impossibile con quella montagna che incombe là fuori. Continuo ad uscire a guardarla, a scrutare le nubi che la avvolgono. Ricerco qualcosa là dentro, dentro a quei profili di roccia incrostati di neve e ghiaccio, dentro a quelle linee verticali e terribili, sognate così a lungo.
Tutto poi si spiega lentamente, il giorno dopo. Partiamo con il buio e i primi passi, seppur semplici, sono incerti. Poi a mano a mano che si va avanti, che saliamo come formichine sulle spalle del gigante, il rapporto con quella montagna si consolida. Ad ogni appiglio, ad ogni passaggio, ad ogni decisione sulla linea da seguire, entra in gioco tutta l'esperienza accumulata negli anni. E' come se nel corso nella scalata, su per quella montagna fredda e leggendaria, ritrovassi i pezzi della mia vita, me stesso, le mie certezze che troppe volte sfuggono.
Salgo verticale e sicuro: i ramponi si incastrano perfettamente nelle crepe della roccia, le mani godono nel tocco gelido della pietra vetrata; io mi chino a guardare sorridente Lallo, che sotto di me avanza sulla lama sottile, venendomi dietro. Siamo una cordata sulla linea del nostro sogno comune, siamo uniti in questo desiderio concreto, sono felice come un bambino a Natale!
Arrivati in cima ci stringiamo la mano e ci complimentiamo. Non ci sono le urla di esultanza che ci si potrebbe aspettare su di una vetta corteggiata per anni. Ci sediamo in silenzio, uno accanto all'altro, sulle pietre della cima. Il vento gelido ci soffia in faccia, mentre noi ne ce stiamo lì, sereni e beati come due uomini in cima all'Eiger.

martedì 29 ottobre 2019

Elogio della Pioggia (il Duca)


Seduto qui, al mio tavolo avvolto nel silenzio, ascolto la pioggia tintinnare sul lucernario.
La pioggia batte, le gocce strisciano sul vetro riflettendo la luce grigia che appena si rispecchia sull'acqua. E insieme alla luce si rispecchiano i miei pensieri e i miei ricordi: torbidi, lontani, alla disperata ricerca di riemergere dal passato.

Ed è la pioggia: la pioggia ricca di profumi, come quella osservata rintanati in una baita che sa di stalla. La porta di legno annerita e il tetto di ardesia. Quei prati verde scuro che si arrampicano sui fianchi della montagna, gonfi d'acqua, avvolti dalle nubi bianche e fumose. Noi dentro alla baracca bagnati fino al midollo, con ancora gli impermeabili addosso che gocciolano pesantemente. Noi dentro alla baita felici, nonostante la pioggia; felici di essere qui con un pezzo di formaggio in mano, anch'esso fradicio: ma chi se ne frega!
La pioggia che sa rincorrerti, come quando spazza i ripidi fianchi del Rosa, portandosi via la neve e lasciando il ghiacciaio nero. Noi che scappiamo con le picche in mano, increduli di trovare acqua in alta quota. Quella pioggia che ti fa scivolare, ti dà velocità facendoti bruciare le mani sulle lastre di ghiaccio. E poi arrivi a valle sfatto, bagnato, sanguinante e stupidamente felice, perché nonostante tutto anche quella volta l'hai scampata; nonostante la pioggia che ora batte innocua sul parabrezza della macchina.
La pioggia che sa essere martellante, fino a quando ti educa, fino a farti abituate al suo tocco bagnato. Fino a diventare una compagna accettabile, come là sul Rwenzori.
La pioggia che sa cantare melodie frusciando tra le foglie degli alberi, invadendo con dolcezza la magia delicata del bosco; danzando con i timidi raggi di luce.
La pioggia che è un padrone freddo e tiranno. Che si impone nonostante i piani perfetti, che inzuppa le corde, impregna la ferraglia, si impossessa dell'umore e di tutto quanto può contenere uno zaino. E poi si mangia anche la roccia e gonfia i torrenti e cristallizza sui muschi con bellezza assoluta.
La pioggia che ti inchioda nel bivacco e decide che è il tuo giorno di riposo. Volente o nolente crea un muro tra te e il mondo ostile, proteggendoti, cullandoti e restituendoti poi felice, ancora una volta, misteriosamente.

La pioggia che picchietta su questo lucernario, che io lo voglia o no, perché nessuno ci può fare proprio niente. Perché la pioggia cade, nonostante tutto: sta a noi saper cogliere il profondo incanto che si porta dietro.