sabato 11 novembre 2017

Il riposo (il Duca)

Riposo, quiete.
Il silenzio di un bivacco con l'amico. Fuori il vento soffia tremendo, facendo scricchiolare la struttura della nostra tana, dentro il fornellino fischia sotto al pentolino.
Fuori la notte buia, con le stelle fredde che macchiano il cielo in una volta, corona sopra alle cuspidi rocciose. Dentro due amici seduti su vecchi materassi, attorno al tavolo di legno ruvido. Sapori di cibi diversi, l'odore delle candele, la lieve luce della luna che si intrufola dal vetro sporco.
Domani si scalerà, ma la salita alla montagna parte da qui, da questa quiete, da questo riposo che mi fa star bene. Si chiacchiera tranquillamente, senza la fretta di dirsi qualcosa. Si sta insieme seduti calmi, come fosse casa nostra da sempre. E forse è così.

Quiete, beatitudine.
Il cuore che lentamente batte nel petto, la presenza dell'amico a qualche metro di distanza; eppure non ci si dice niente, non ce n'è bisogno.
Ognuno coi propri pensieri, ognuno con la propria beatitudine, ma si è una cordata anche qui, soprattutto adesso su questa cima. Sotto al sedere la roccia dura, il sedile più comodo al mondo. Attorno a noi la bellezza che si fa immensa a perdita d'occhio; ora che è nostra è così famigliare che appare ancora più bella.
Riguardo il profilo dello sperone appena scalato, quello spigolo frastagliato e sottile di roccia ruvida. Fino a poco tempo prima eravamo lì, mettendoci alla prova, danzando sulla verticalità della montagna, sentendoci liberi. Assaporando passaggio dopo passaggio quella libertà che ora trova compimento in questa quiete. Sono felice.

Beatitudine, compimento.
Il Perù è lontanissimo, ma ora che sono sdraiato in questa tenda non importa: sono a casa lo stesso.
Sono partito in piena notte verso l'ignoto e il buio non ha fatto che peggiorare la situazione. Quella montagna gigantesca che incombeva su di me, la fatica schiacciante dell'alta quota e l'immensità dei ghiacci andini. Tutto nella notte era ignoto e la speranza, il lavoro di mesi, lottava con l'imprevisto e la possibilità di fallire.
Ma ora la cima è qui, in questo cuore sdraiato nella tenda.
Il sacco a pelo aperto sul mio corpo, abbandonato sul materassino di gomma. Chiudo gli occhi respirando profondamente, fuori il silenzio amato e la percezione della montagna ormai conosciuta.
Il riposo, la quiete, la beatitudine: il compimento di un sogno.
Essere in pace con me stesso, è questa la più grande conquista che mi ha dato la montagna: la possibilità di chiudere gli occhi e avere un attimo di purissima serenità. E un grazie.

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