Il Filosofo, come l’Alpinista, procede nella speranza della meta. Ma forse la verità è nella viva bellezza che si respira ad ogni passo…
Facilmente questa frase, al di là della sua poesia, può far irritare: come mai l’alpinista potrebbe andare avanti se non credesse che là in alto ci sia la vetta e che questa sia raggiungibile? Come mai il filosofo potrebbe continuare la sua indagine se non credesse nella verità ultima?
E poi dove sta la bellezza di ogni passo al di là della metafora? Il mondo e la vita sono piene di tristezze, delusioni e dolori…
Queste obbiezioni sono tutte giuste e legittime. Io stesso non posso accettare la mia frase, io stesso ho motivo di rancore verso chi pronunci questa frase. Eppure sono io a pronunciare questa frase. Sono io che decido di rischiare pronunciando questo aforisma.
Ma vedete ciò che sarebbe meglio, ciò che il nostro cuore ci chiede, non sempre e non per forza corrisponde a ciò che è. Noi speriamo nella metafisica, la nostra fede è metafisica.
Metafisica che poi è sia meta-fisica (oltre il fisico) sia meta fisica (meta fisicamente intesa).
Meta fisica che è la verità sostanziale di Platone e che è la cima dell’alpinista.
Ma cosa centra l’alpinista con il filosofo? Questa è la domanda che giustamente dovrete pormi per prima.
Non centrano nulla se non per il fatto che sono entrambi uomini immersi nella realtà e che entrambi sono innamorati (ognuno del suo). L’alpinista è colui innamorato della montagna così come il filosofo è colui innamorato della sapienza. L’alpinista è colui che tende, con scarponi e piccozza, alla vetta; così come il filosofo è colui che tende, con la sua razionalità, alla verità.
Entrambi sperano che l’oggetto del loro amore sia un qualcosa di presente, sia una meta fisica. Ma in realtà credo, ed è molto probabile, che ciò a cui tendono sia una meta-fisica, qualcosa che va oltre la fisica. Qualcosa di irraggiungibile, di ermeneutico.
Quale alpinista è mai arrivato in Vetta? Nessuno. Se un alpinista fosse arrivato in Vetta non sarebbe più alpinista, non tenderebbe più alla montagna e dunque avrebbe rinunciato all’alpinismo. Ma un alpinista che rinuncia all’alpinismo non è più alpinista.
Certo gli alpinisti conquistano le vette, le hanno già conquistate quasi tutte, ma la Vetta non l’hanno mai conquistata. Se non forse chi in montagna è morto. Chi, nel tendere al suo amore, è morto bruciato dal desiderio.
A questo proposito mi torna utile la figura del Don Giovanni utilizzata da Kirkegaard. Come il protagonista della fase estetica non poteva fermarsi ad una sola donna, ma una volta conquistata la bellezza di una fanciulla doveva trovarne subito un’altra, così l’alpinista una volta conquistata la vetta di una montagna ne deve conquistare un’altra. Quale alpinista si fermerebbe mai sulla cima della sua montagna? Nessuno se non forse da morto. Da morto si che si fermerebbe sulla Vetta (che poi altro non è che il paradiso: chiedetelo ad un alpinista.)
E vista la figura dell’alpinista credete che per un qualunque innamorato sia diverso? Pensate alla ragazza di cui siete innamorati. La vostra meta fisica è lei ma lei non l’assimilerete mai. La vostra meta è il suo amore, ma come mai potrete averlo?
Mettiamo che la vostra vetta sia riuscire a mettervi insieme alla ragazza di cui siete innamorati. Bene, e una volta che vi sarete messi insieme potrete fermarvi? Una volta che avrete appurato che vi ama potrete ritenervi soddisfatti e tornarvene a casa?
Il matrimonio borghese vi risponde di si. Ma a questo punto voi siete come l’alpinista che non va più in montagna, e state pur certi che la vostra ragazza, se non è completamente scema, vi mollerà.
Ma se l’amore non è l’impulso animale di cui va tanto fiero anche lo stallone, una volta conquistata la vostra ragazza la continuerete a conquistare. La vostra ragazza va continuamente fatta innamorare di voi e voi continuamente dovrete innamorarvi di lei, così l’amore rimane vivo.
Per quanto riguarda il filosofo il discorso è lo stesso. Ma per parlare di questo lascio la parola a Platone che nel Fedro lo spiega certamente meglio di come possa fare io in mille vite.
Se la Vetta, l’Amore della vostra ragazza e la Verità sono qualcosa di meta-fisico ciò non vuol dire però che siano nulla. Ciò che diventa nulla è la nostra staticità. E’ il fermarsi per tutta la vita su di una vetta. L’amore va tenuto sempre vivo, la ricerca sempre attiva, bisogna salire sempre verso la montagna. Chi si ferma è morto (quale migliore pace dei sensi?), o almeno è morto in quanto uomo, come ci dice Boezio di Dacia.
L’importante è che ogni passo sia indirizzato verso l’alto. Che il nostro passo non ricada sempre lasciandoci fermi. L’importante è salire sempre, sempre avanti.
Questo passo non è bello di per sé nel senso di pacificatore. La sua bellezza è una bellezza tragica, la bellezza di cui ci parla Whitehead, la bellezza del sublime. È la bellezza del ghiacciaio che brilla sotto la luna e può risucchiarci da un momento all’altro.
La bellezza è tragica perché ermeneutica, irraggiungibile. La bellezza è la bellezza della verità filosofica, è la bellezza della vostra ragazza, è la bellezza della montagna. E’ la bellezza tragica che però c’è. C’è perché è ciò che ci spinge ad andare avanti.
La bellezza c’è perché è ciò che tiene vivo il nostro desiderio, ciò che ci pone davanti all’oggetto del nostro desiderio.
Se penso quanto ho maledetto il desiderio che ci pone sempre a distanza da ciò che desideriamo. Ma senza desiderio ciò che desideriamo non ci sarebbe nemmeno per noi…
Ecco che allora dico che “Il filosofo, come l’alpinista, procede nella speranza della propria meta. Ma forse la verità è nella viva bellezza che si respira ad ogni passo...” per questo dobbiamo andare avanti sempre.
E il dubbio che la vetta a cui siamo arrivati non sia la Vetta è ciò che ci permetterà di non morire (almeno come uomini).
Facilmente questa frase, al di là della sua poesia, può far irritare: come mai l’alpinista potrebbe andare avanti se non credesse che là in alto ci sia la vetta e che questa sia raggiungibile? Come mai il filosofo potrebbe continuare la sua indagine se non credesse nella verità ultima?
E poi dove sta la bellezza di ogni passo al di là della metafora? Il mondo e la vita sono piene di tristezze, delusioni e dolori…
Queste obbiezioni sono tutte giuste e legittime. Io stesso non posso accettare la mia frase, io stesso ho motivo di rancore verso chi pronunci questa frase. Eppure sono io a pronunciare questa frase. Sono io che decido di rischiare pronunciando questo aforisma.
Ma vedete ciò che sarebbe meglio, ciò che il nostro cuore ci chiede, non sempre e non per forza corrisponde a ciò che è. Noi speriamo nella metafisica, la nostra fede è metafisica.
Metafisica che poi è sia meta-fisica (oltre il fisico) sia meta fisica (meta fisicamente intesa).
Meta fisica che è la verità sostanziale di Platone e che è la cima dell’alpinista.
Ma cosa centra l’alpinista con il filosofo? Questa è la domanda che giustamente dovrete pormi per prima.
Non centrano nulla se non per il fatto che sono entrambi uomini immersi nella realtà e che entrambi sono innamorati (ognuno del suo). L’alpinista è colui innamorato della montagna così come il filosofo è colui innamorato della sapienza. L’alpinista è colui che tende, con scarponi e piccozza, alla vetta; così come il filosofo è colui che tende, con la sua razionalità, alla verità.
Entrambi sperano che l’oggetto del loro amore sia un qualcosa di presente, sia una meta fisica. Ma in realtà credo, ed è molto probabile, che ciò a cui tendono sia una meta-fisica, qualcosa che va oltre la fisica. Qualcosa di irraggiungibile, di ermeneutico.
Quale alpinista è mai arrivato in Vetta? Nessuno. Se un alpinista fosse arrivato in Vetta non sarebbe più alpinista, non tenderebbe più alla montagna e dunque avrebbe rinunciato all’alpinismo. Ma un alpinista che rinuncia all’alpinismo non è più alpinista.
Certo gli alpinisti conquistano le vette, le hanno già conquistate quasi tutte, ma la Vetta non l’hanno mai conquistata. Se non forse chi in montagna è morto. Chi, nel tendere al suo amore, è morto bruciato dal desiderio.
A questo proposito mi torna utile la figura del Don Giovanni utilizzata da Kirkegaard. Come il protagonista della fase estetica non poteva fermarsi ad una sola donna, ma una volta conquistata la bellezza di una fanciulla doveva trovarne subito un’altra, così l’alpinista una volta conquistata la vetta di una montagna ne deve conquistare un’altra. Quale alpinista si fermerebbe mai sulla cima della sua montagna? Nessuno se non forse da morto. Da morto si che si fermerebbe sulla Vetta (che poi altro non è che il paradiso: chiedetelo ad un alpinista.)
E vista la figura dell’alpinista credete che per un qualunque innamorato sia diverso? Pensate alla ragazza di cui siete innamorati. La vostra meta fisica è lei ma lei non l’assimilerete mai. La vostra meta è il suo amore, ma come mai potrete averlo?
Mettiamo che la vostra vetta sia riuscire a mettervi insieme alla ragazza di cui siete innamorati. Bene, e una volta che vi sarete messi insieme potrete fermarvi? Una volta che avrete appurato che vi ama potrete ritenervi soddisfatti e tornarvene a casa?
Il matrimonio borghese vi risponde di si. Ma a questo punto voi siete come l’alpinista che non va più in montagna, e state pur certi che la vostra ragazza, se non è completamente scema, vi mollerà.
Ma se l’amore non è l’impulso animale di cui va tanto fiero anche lo stallone, una volta conquistata la vostra ragazza la continuerete a conquistare. La vostra ragazza va continuamente fatta innamorare di voi e voi continuamente dovrete innamorarvi di lei, così l’amore rimane vivo.
Per quanto riguarda il filosofo il discorso è lo stesso. Ma per parlare di questo lascio la parola a Platone che nel Fedro lo spiega certamente meglio di come possa fare io in mille vite.
Se la Vetta, l’Amore della vostra ragazza e la Verità sono qualcosa di meta-fisico ciò non vuol dire però che siano nulla. Ciò che diventa nulla è la nostra staticità. E’ il fermarsi per tutta la vita su di una vetta. L’amore va tenuto sempre vivo, la ricerca sempre attiva, bisogna salire sempre verso la montagna. Chi si ferma è morto (quale migliore pace dei sensi?), o almeno è morto in quanto uomo, come ci dice Boezio di Dacia.
L’importante è che ogni passo sia indirizzato verso l’alto. Che il nostro passo non ricada sempre lasciandoci fermi. L’importante è salire sempre, sempre avanti.
Questo passo non è bello di per sé nel senso di pacificatore. La sua bellezza è una bellezza tragica, la bellezza di cui ci parla Whitehead, la bellezza del sublime. È la bellezza del ghiacciaio che brilla sotto la luna e può risucchiarci da un momento all’altro.
La bellezza è tragica perché ermeneutica, irraggiungibile. La bellezza è la bellezza della verità filosofica, è la bellezza della vostra ragazza, è la bellezza della montagna. E’ la bellezza tragica che però c’è. C’è perché è ciò che ci spinge ad andare avanti.
La bellezza c’è perché è ciò che tiene vivo il nostro desiderio, ciò che ci pone davanti all’oggetto del nostro desiderio.
Se penso quanto ho maledetto il desiderio che ci pone sempre a distanza da ciò che desideriamo. Ma senza desiderio ciò che desideriamo non ci sarebbe nemmeno per noi…
Ecco che allora dico che “Il filosofo, come l’alpinista, procede nella speranza della propria meta. Ma forse la verità è nella viva bellezza che si respira ad ogni passo...” per questo dobbiamo andare avanti sempre.
E il dubbio che la vetta a cui siamo arrivati non sia la Vetta è ciò che ci permetterà di non morire (almeno come uomini).
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