giovedì 22 febbraio 2024

Canto di un poeta caduto (il Duca)

Che fine hanno fatto i sogni e le battaglie combattute?

C'era sempre una montagna da scalare, una poesia da scrivere, una verità da indagare. Il desiderio ardente, lanciato come una freccia nel sole, era il motore di ogni azione, tutto era vita, forza, energia, speranza.

Che fine hanno fatto le nottate attorno ad una bottiglia? Con le parole che scorrevano come torrenti in primavera, carichi di acqua vivida e feconda. Le passeggiate senza una meta, a discutere del futuro: come costruirlo? Come lottare per esso, contro il nemico che sarebbe caduto sotto alle nostre idee?

Non si era mai stanchi di mettere un piede davanti all'altro e i sogni correvano dinnanzi a noi. Che fine hanno fatto ora? Che fine abbiamo fatto noi filosofi della bellezza, alpinisti dell'assoluto, rivoluzionari del vivere autentico?

Si lottava contro il nemico, contro la formalità, contro l'incrostazione derivante da significati vuoti e monotoni, lontani dalla creatività del filosofo poeta. Si lottava per la bellezza ad ogni costo, una bellezza infinita, in grado di esplodere e gonfiare la vita. Una bellezza autentica, inafferrabile, ma eternamente presente come l'Essere di Parmenide.

Quella bellezza era tutto per noi, che ogni fine settimana strisciavamo sulle montagne, elevandoci oltre la monotonia del nemico. Si svelavano infiniti mondi, sulle pareti di ghiaccio, nella dolcezza dei fiori, nella ruvidità della roccia.

Veramente tutta quella vivida passione, quella speranza ardente e combattiva, si è rinsecchita? Veramente tutto alla fine si è incrostato precipitando nella stanca insignificanza del mondo dominato dalla formalità? Veramente alla fine il nemico ha trionfato e la nostra lotta, la bellezza respirata, l'autenticità cercata, è finita nel baratro del nulla?

Realmente allora la vita autentica volta alla bellezza è destinata alla disperazione e dunque alla sconfitta? Il desiderio che ha dominato le nostre vite e che ancora spinge nel fondo del cuore, sembra imbrigliato nel nulla della vita formale. E allora ci si sente impotenti, affossati. Con la voglia che si è consumata in una corsa che sembra ormai senza spazio. Realmente ci dobbiamo arrendere definitivamente?

Eppure questa resa risulta a me insopportabile! La mancanza di spazio porta alla rabbia, alla rabbia contro tutto un mondo che si presenta come gabbia bastarda, che tenta di contenere un fuoco che brucia, arde, ma che non riesce più a incendiare. Forse tutto questo si chiama disperazione. Forse questo è il giusto termine.

Il problema è quello già individuato quando ancora le parole scorrevano a fiumi attorno alla bottiglia: come rispondere all'abisso di un desiderio infinito? Ma ancora più complicato è rispondere a questa domanda ora, adesso che la speranza sembra essere pesantemente caduta a terra.

Io riesco solo ad avere una debole consolazione: che almeno quella vita estetica protesa alla bellezza, alla verità, all'autenticità, all'azione, alla lotta, possa risplendere come una tenue luce nella notte attraverso i nostri occhi e i nostri racconti. Ecco perché allora provare a scrivere ancora, ad insegnare, a emanare poesie. Ecco perché provare ancora a lanciare lo sguardo in alto, verso la bellezza, le montagne e il cielo stellato.