La prima volta che gli abbiamo messo gli occhi addosso è stato in un caldo gennaio, durante una scalata invernale nel biellese. L'imponente piramide si innalzava davanti a noi, bella ed elegante, con le sue rocce nere miste alla neve bianchissima. Un uomo ce ne svelò il nome: “quello è il Mont Nery!”.
A fine inverno partimmo per salirlo, con un'idea alternativa; ma la mancanza del sentiero ci fece arenare nel bosco. Io non ci tornai più per diversi anni, mentre per Ale divenne una vera e propria ossessione. Lo tentò molte volte, dando sfogo alla sua fantasia, sempre alla ricerca di una soluzione originale per raggiungerne la cima.
Alla fine lo scalò dal canale nord-ovest, ma scendendo fu attratto da uno sperone logico e selvaggio che dalla cima precipita a sud verso il bivacco Cravetto.
Si informò e scoprì che si trattava della Cresta Sud, via dimenticata e quasi mai ripetuta: l'obbiettivo perfetto per le sue fantasie esplorative! Condivise la scoperta con Mario, che lo attendeva al bivacco, il quale me ne parlò entusiasta. Sapeva il potere seduttivo che una tale idea avrebbe esercitato su di me, e ci azzeccò!
Iniziammo a mettere a fuoco l'obbiettivo, studiando le foto fatte da Ale e quelle poche trovate in internet. A guardare bene più che una cresta la via percorre uno sperone vero e proprio, che parte verticale al centro della parete, per poi continuare con una serie di torrioni fino alla cresta sommitale. Alla fine ci esaltammo e rilanciammo ulteriormente: “proviamola, ma proviamola in pieno inverno!”.
Non c'erano testimonianze della Cresta Sud salita nella stagione più fredda, quindi, con tutta probabilità, la nostra sarebbe stata la prima invernale: la prospettiva era davvero ghiotta!
Mario si sfilò dall'idea, pur continuando a sostenerci. Io e Ale la inserimmo invece in cima alla nostra affollata lista dei sogni.
Gennaio, fa freddo e non nevica da un po': decidiamo che si può provare. Qualche giorno prima scaliamo la cresta di Canabà sul monte Cresto, per farci un'idea delle condizioni. Poi partiamo, seppure con qualche dubbio.
Si fa colazione scherzando al bar, circondati dagli sciatori diretti a Gressoney. Poi si abbandonano le terre degli uomini per salire verso il selvaggio regno del Nery. Superiamo i 1500 metri di dislivello per raggiungere il bivacco, trovando neve continua dai 1800m in su. Ma arrivati nei pressi del Cravetto scopriamo che il meritato riposo va ancora guadagnato: il bivacco è infatti completamente sommerso dalla neve, esclusa una piccola porzione di tetto (col pannello solare).
Iniziamo a scavare, prima per liberare la struttura principale, poi per entrare nella legnaia da dove azionare la bombola del gas.
Alla fine riusciamo a sistemarci bene nel bivacco, ma dobbiamo rinunciare al giro di perlustrazione sotto allo sperone. Poco male, una cena calda e lo scoppiettio della stufa ci fanno sentire bene come pascià.
Ci svegliamo che è buio pesto, prepariamo la colazione, siamo concentrati; abbiamo dormito bene e facciamo tutto con calma. Quando usciamo dal bivacco ci accoglie il freddo intenso dell'inverno, accentuato dal vento che seppur leggero è penetrante.
Il nostro sperone è già illuminato da un sole poco intenso che gli infonde la magia tipica dei sogni. Partiamo guardandolo, col rispetto riservato ad un incontro tanto atteso.
Facciamo un lungo traverso su neve buona, che si sposa perfettamente con i nostri ramponi. Si procede rapidamente senza perdere quota, sappiamo esattamente dove andare, anche se ogni nostro movimento è la ricerca di una conferma.
Aggirato lo spigolo dello sperone ci affacciamo sul suo versante est, dove troviamo un canale che si impenna incuneandosi fra le rocce. Avevamo intuito la sua presenza, ma solo ora abbiamo la sicurezza della sua esistenza. Lo risaliamo picche in mano, tracciando nella neve poco portante, fino a guadagnare una spalla dello sperone. Qui ci leghiamo; sotto di noi, nella valle innevata, inizia a stagliarsi l'ombra elegante della nostra cresta.
Procediamo in conserva protetta, prevalentemente su roccia. Sappiamo che dobbiamo seguire il filo dello sperone, ma la linea non è obbligata e si cerca sempre il passaggio migliore.
Iniziamo a fare qualche tiro, alternandoci in testa, viaggiando su terreno misto e vario, che però permette sempre di proteggere bene, soprattutto coi friend. Certo bisogna saper leggere la montagna ad ogni passo, ma proprio questo è il bello!
Sbuchiamo infine ad una selletta nevosa, sovrastata da una paretina verticale che al centro presenta una linea di neve dura, interrotta a metà. La superiamo con un bel tiro di corda, guadagnando la base di un torrione giallo che segna la fine della prima parte della via.
Ora bisogna trovare come superare il torrione giallo strapiombante, così da accedere al grande nevaio superiore. A destra la parete precipita rocciosa e perpendicolare per centinaia di metri. Proviamo allora a sinistra, disarrampicando su alcune placche rocciose sporche di neve, fino a raggiungere una cengia di crosta delicata che ci permette di arrivare al grande nevaio.
La scarna relazione che abbiamo con noi indica che ora dovremmo traversare a sinistra, per uscire sulla spalla della montagna. Ma senza neppure discuterne decidiamo di perseguire nella nostra idea: procedere su dritti, rimanendo il più fedeli possibili allo sperone. Così, con un paio di tiri, ci ritroviamo a pistare nella neve fonda verso la parte alta del Nery.
Siamo meno impegnati a cercare la via e ci guardiamo attorno, mentre risaliamo il ripido pendio. E' come se improvvisamente ci rendessimo conto dell'immensa bellezza in cui ci troviamo immersi, riuscendo a distaccarci dalla nostra scalata.
Arrivati ad una sella, doppiamo il filo della cresta e puntiamo ad un canalino che porta in alto verso il blu del cielo. Il canalino si incunea sui 60 gradi, di neve e ghiaccio buono; lo superiamo senza problemi, lavorando di ramponi e piccozze, e sbuchiamo così oltre la cornice. Ci accorgiamo però che la cima è tutt'altro che vicina.
Facciamo l'ennesimo tiro su neve sfondosa, un breve traverso su di una placchetta delicata e poi risaliamo un altro colatoio ghiacciato. Ormai attendiamo solo di poter finalmente scorgere la vetta e constatare che non c'è più nulla da salire.
Avanziamo in conserva lungo il fianco della cresta sommitale, tracciando nella neve alta, finché, con un ultimo faticoso passo, eccoci solcare l'antecima nord. Il vento ci graffia la faccia, la cima vera e propria è a pochi metri da noi, facciamo quasi fatica a credere che sia veramente lì.
Quegli ultimi passi sulla cresta nevosa, prima di toccare il punto più alto del Nery, sono carichi di un'intensità profonda. Ci sentiamo leggeri, investiti improvvisamente da una gioia incontenibile.
Arrivati in vetta ci abbracciamo emozionati, con l'aria gelida che danza insieme noi, portando con sé tutta la nostra felicità.
Fa freddo per stare troppo in cima, iniziamo così a scendere. Percorriamo la cresta Ovest che d'inverno non è banale e presenta enormi cornici, poi trotterellando per il pendio di neve rientriamo al bivacco.
Mentre le ombre della sera ci investono, poco prima di raggiungere la macchina, non troviamo molto da dire; l'avventura sta per finire, ma la magia di un sogno realizzato rimane come una luce profonda, un ardore di bellezza che ci sa accompagnare anche lontani dalle nostre montagne.