Domenica
mattina: sulla mia scrivania c'è il portatile aperto, attorno: foto, appunti,
fogli e quaderni. Allungo lo sguardo soddisfatto, vorrei che quell'istante di
pura e dolce illusione durasse in eterno.
A
pranzo siamo attorno al tavolo, si chiacchiera mangiando formaggio e salame,
accompagnati da vino e sidro di mele. Guardo i volti dei miei amici, uno ad
uno. Ognuno ha le proprie storie scritte sulla pelle, ognuno è lì con la
propria vita quotidiana incastrata fra le dita e l'insopprimibile capacità di
sognare.
Sento
che c'è qualcosa di speciale, una certa gratitudine mi inonda il cuore. Saremo
capaci di coordinare i nostri sogni? Di seguire insieme quella vocazione che ci
ha fatto accumulare esperienze? Quelle esperienze che troppo spesso diamo per
scontate, ma che hanno qualcosa di straordinario, che ci hanno resi ciò che
siamo.
Guardiamo
insieme il piano per un sogno: si parla di giorni, di hotel, auto a noleggio,
bivacchi. Si discute di aerei, si prendono appunti, si tratta di corde, mappe,
permessi, piccozze.
Osservo
ancora il volto dei miei amici, uno ad uno. Ci siamo divisi i compiti, la
sensazione è quella di chi si sta avvicinando alla parete, la osserva sapendo
che c'è ancora da faticare, ma già la sente vicina, ne percepisce lo spirito
potente.
La
scalata di un sogno a volte parte da lontanissimo, e oggi, nella bassa milanese
avvolta dal brutto tempo, già ci stiamo avvicinando ad una montagna aguzza nel
cuore del Canada. Il sogno è ancora fragile, bisognerà incaponirsi e non
perdere la rotta per non lasciare che si infranga.
In
alpinismo c'è un vantaggio fondamentale: l'irresistibile richiamo della meta.
In questo richiamo si costruisce tutto, un pezzo per volta. E ora si tratta di
seguirne ogni pezzo, uno ad uno, assaporandone ogni parte.