Recupero Ale che mi raggiunge e ci leghiamo in sosta. Sopra di noi una placca liscia di roccia compatta, sotto la parete incrostata di ghiaccio, il cielo è azzurro, si sta bene.
Ci togliamo i ramponi in equilibrio sul vuoto, è impressionante come la parete ci faccia stare a nostro agio. Lo sguardo corre su per lo sperone da cui dobbiamo passare, ammira la montagna, esplora le fessure scure alla ricerca di un buon punto per proteggere, per mettere un friend.
Ora ci siamo, ma prima di partire riesco ad estrarmi per un attimo dalla scalata e mi fotografo i piedi. La vita è qui, una danza su questo pezzo di mondo, duro, severo, tanto caro. Mi balenano tutti i pessimismi del mondo, che ora vedo essere piccola cosa. La bellezza è incredibilmente potente sulla montagna, la nostra piccolezza fortemente caparbia.
Come fa questo vuoto a non fermarci? La risposta non è scritta, ma sta nel movimento successivo, quando torno ad arrampicare. Tocco la roccia, ora siamo al sole: la musica è il silenzio, la montagna è la via, il vuoto lo spazio dove passare.
Ci sentiamo incredibilmente vivi, ed è questo è il dono che portiamo a casa a chi ci attende.